martedì 21 novembre 2017
Lo strano caso dei video passati di mano, però col finale cambiato. Un giornalista americano, presente sulla nave durante le riprese, «smonta» il caso. Sos Mediterranée: campagna di criminalizzazione
La nave Aquarius di Sos  Mediterranée (Petyx)

La nave Aquarius di Sos Mediterranée (Petyx)

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È uno dei problemi delle inchieste giornalistiche condotte a lungo termine, ma a breve scadenza: l’aggiornamento dei fatti. Quello mandato in onda lunedì sera da Rai3 all’interno di Report, soffriva di questo malanno. Non l’unico per la verità. Contrariamente a quanto trasmesso, ad esempio, il sedicente capo della Guardia costiera di Zawiya, noto come “Bija”, è stato sconfitto durante i combattimenti di Sabratha un mese fa, quando i suoi uomini e i sodali del clan Dabbashi, veri padroni del traffico di migranti in quella porzione di Libia, sono stati scalzati provocando migliaia di sfollati.

Il commento alle immagini di una giornalista salita a bordo della nave Aquarius insieme ad un cameraman - «però accreditati a nome della trasmissione di Bruno Vespa “A Porta a Porta”», fanno sapere dall’Ong Sos Mediterranée –, ha offerto al pubblico più di un dubbio sulla correttezza dell’operato dell’organizzazione non governativa, che a bordo lavora con un team sanitario di Medici senza frontiere – in occasione di un’operazione di soccorso avvenuta nel maggio scorso. In effetti “A Porta a Porta” aveva mandato in onda il reportage nel quale si vedevano, tra l’altro, gli operatori dell’Ong distruggere i gommoni. Il servizio sollevava molte perplessità sul ruolo della Guardia costiera libica, che alla reporter era apparso di complicità con i trafficanti. Due mesi dopo quelle stesse immagini finiscono su Rai3, ma la conclusione, affidata a un’altra giornalista, che non era a bordo dell’Aquarius, è opposta: stavolta l’equipaggio viene sospettato di una qualche connessione con i trafficanti. Non è l’unico ravvedimento postumo osservato lunedì su Report, come ricostruisce anche il fact checking del settimanale Vita.

«Fino ad ora abbiamo ospitato oltre cento giornalisti da tutto il mondo – spiega Mathilde Auvillain, responsabile delle comunicazioni “a terra” di Sos Mediterranée - e nessuno di essi aveva mai ravvisato nulla di strano». In effetti la giornalista e il cameraman del servizio pubblico non erano da soli. A bordo di Aquarius c’era una nota firma della stampa internazionale. È Steve Scherer, reporter di punta dell’agenzia Reuters, autore di una serie di impressionanti scoop proprio sul business dei migranti e gli intrighi internazionali sulla Libia. «Ero su quella nave quando c’erano i due colleghi italiani della Rai - conferma Scherer - e non solo non abbiamo ricevuto alcun divieto a svolgere riprese, ma proprio i nostri filmati e tutto quello che abbiamo raccolto in quei giorni ci ha fatto giungere a conclusioni opposte». Scriveva Reuters: «Se la Guardia costiera libica o un’imbarcazione sconosciuta si avvicinano senza effettuare il contatto radio, suona un allarme. L’equipaggio si precipita in una stanza sicura, che viene chiusa». Questo perché con i libici erano avvenuti diversi “incidenti”, tutti documentati.

Di «campagna di criminalizzazione contro le ong», parla Sos Mediterranée dopo aver visto anche una serie di documenti di Frontex che Report ha diffuso come «riservati», ma noti da mesi a testate internazionali e nazionali, a cominciare dai lettori di Avvenire, e poi Reuters, Espresso, Radio Radicale, Middle Est Eye, New York Times e altri ancora. Una battaglia mediatica e giudiziaria che non di rado distrae dalla vera emergenza. Lo ha ricordato ieri il segretario generale delle Nazioni Unite: «Dobbiamo agire con urgenza per proteggere i diritti umani e la dignità della popolazione migrante», ha detto António Guterres. «È nostra responsabilità collettiva porre fine a questi crimini».

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