martedì 20 marzo 2018
Al processo contro i cinque militi dell'Arma - accusati del pestaggio e di avere falsficato i verbali - parla un supertestimone: era viola e verde come una melanzana, mai visto un detenuto così
Roma, 31 ottobre 2014: Ilaria Cucchi mostra la foto del fratello Stefano dopo la sentenza della Corte d'appello

Roma, 31 ottobre 2014: Ilaria Cucchi mostra la foto del fratello Stefano dopo la sentenza della Corte d'appello

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Al processo contro i cinque militi dell'Arma parla il compagno di cella di Stefano Cucchi. E racconta che quando lo vide tumefatto e sanguinante gli chiese chi era stato: «I carabinieri che mi hanno arrestato». Luigi Lainà, detenuto a Regina Coeli, racconta il suo drammatico incontro con geometra romano, arrestato per spaccio. «La sera del 16 ottobre del 2009 mi trovavo presso il centro clinico di Regina Coeli - dice in aula Lainà - quando vedo arrivare un ragazzo che aveva il volto gonfio come una zampogna, con evidenti ematomi in faccia e sugli zigomi. Aveva un colorito violaceo, perdeva sangue da un orecchio e faceva fatica a parlare. Gli portai un caffè ma non riusciva neanche a inghiottire la sua saliva». Quel ragazzo era Stefano Cucchi, appena pestato nella caserma dei carabinieri al momento dell'arresto per droga. Lesioni gravi, trascurate in ospedale, che ne provocheranno la morte sei giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini. E la testimonianza di Lainà al processo è suffragata da quella di un agente di polizia penitenziaria che parlò con Cucchi nel viaggio in ambulanza da Regina Coeli all'ospedale: a ridurmi così - gliconfidò Stefano - sono stati servitori dello Stato, ma non voi della penitenziaria.

Lainà è un testimone importante. Il pm Giovanni Musarò, che lo ascoltò nel novembre del 2014, lo interroga per la prima volta in aula nel processo bis, in corte d'assise. Imputati sono cinque carabinieri, accusati a vario titolo di aver pestato Cucchi, di aver falsificato il verbale e di aver dato la colpa dell'aggressione a tre agenti della polizia penitenziari, processati e già assolti definitivamente. «Gli ho chiesto di alzare la maglietta - racconta Lainà - e lui mi ha mostrato la schiena: era uno scheletro, sembrava un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz. Aveva il costato di colore verdognolo-giallo, come quello di una melanzana. Gli ho chiesto se a ridurlo così fosse stato qualcuno della penitenziaria... ero pronto a fare un casino... e invece lui rispose che erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato. "Si sono divertiti", mi aggiunse. Volevano che facesse la spia, che parlasse per far arrestare altri spacciatori, ma lui è stato un grande, non ha fatto un nome. Mi spiegò che era stato picchiato da due militari in borghese mentre un terzo in divisa intervenne per invitare i due a smetterla».

«Quando sbagliamo - si sfoga Lainà - è giusto essere arrestati, messi in carcere e giudicati da un tribunale. Non è giusto, invece, essere massacrati di botte. È successo pure a me qualche volta, e anche io come tanti altri ho dovuto dire di essere caduto per evitare di essere pestato di nuovo. Ma devo ammettere che non ho mai visto un detenuto, come Cucchi, portato in cella in quelle condizioni». Fu proprio Lainà, sconcertato, a sollecitare l'intervento del medico di Regina Coeli Pellegrino Petillo che ne dispose il ricovero al Fatebenefratelli. Cucchi il giorno dopo venne spedito al reparto di medicina protetta del Pertini. «A Petillo dissi che se non fosse intervenuto in tempo, Cucchi sarebbe morto subito a Regina Coeli per quanto stava male. Io una cosa così non l'avevo mai vista».

Una versione confermata da un altro testimone, Mauro Cantone, della polizia penitenziaria: «Quando ero in ambulanza con Stefano Cucchi durante il tragitto dal carcere di Regina Coeli all'ospedale mi disse "sono stati servitori dello Stato a farmi questo"». L'agente, ascoltato come testimone al processo bis alla prima corte d'Assise a Roma aggiunge altri particolari: «Io gli chiesi se si riferiva a noi della penitenziaria, ma Stefano disse che non si riferiva a noi ma che comunque ne avrebbe parlato col suo avvocato».

«Sta emergendo una situazione - commenta Ilaria Cucchi, sorella della vittima - che per anni è stata nascosta. Il racconto del detenuto Luigi Lainà è stato drammatico dal punto di vista emotivo: ho rivisto il carattere e i modi di fare di mio fratello Stefano e soprattutto ho rivissuto la sua sofferenza che per tanti anni è stata nascosta. Per anni si è parlato di lesioni lievi - prosegue Ilaria, presente in aula assieme ai genitori - ma in realtà Stefano stava malissimo per colpa di quel dolore che è aumentato di ora in ora sino a farlo morire. In questi anni è stato tutto astratto, sembrava che mio fratello fosse morto senza una ragione, da oggi si comincia a capire cosa è effettivamente successo».

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