sabato 22 giugno 2019
Il governatore del Friuli-Venezia Giulia annuncia l'accordo per contrastare gli ingressi. La Caritas: nessuna invasione, vogliono andare nel Nord Europa
Una foto dell'Ufficio stampa di Oxfam Italia illustra la situazione di un gruppo di profughi lungo la rotta balcanica

Una foto dell'Ufficio stampa di Oxfam Italia illustra la situazione di un gruppo di profughi lungo la rotta balcanica

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Dal 1 luglio prenderanno il via i controlli congiunti ai confini, con l'obiettivo di contrastare in modo deciso l'ingresso di migranti irregolari in Friuli Venezia Giulia. Lo annuncia il governatore Massimiliano Fedriga, a seguito di un confronto con il Consolato generale di Slovenia. "Abbiamo bloccato gli ingressi via mare e ora rafforziamo la vigilanza per proteggere le frontiere terrestri. Dopo anni, l'Italia non è più il campo per clandestini dell'Europa", ha commentato il ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Passa da Trieste, dal Carso, da Gorizia e, in misura minore, dal valico di Tarvisio, la rotta balcanica. Si tratta, per lo più, di afghani e di iracheni che da mesi stazionano nei campi di Biha e Velika Kladuša nel nord della Bosnia. Ce ne sono 5 mila. Dopo i 31 irregolari segnalati dai passanti e rintracciati dalla Polizia lo scorso 18 giugno a Domio, sul Carso, ieri mattina le volanti hanno rintracciato in zona Wartsila, a San Dorligo e in piazzale Cagni più di cento migranti, tutti a piedi, per lo più pachistani. Questa mattina ne sono stati fermati altri 18. Gli irregolari, tutti maschi, sono stati accompagnati presso i centri di foto-segnalamento presenti a Fernetti, nel Porto Nuovo e in Questura. Pochi di loro chiedono di fermarsi in Italia. L’aspirazione comune è di raggiungere la Germania ed il Nord Europa.

Sono come fantasmi che sbucano all’improvviso dai boschi. La polizia ha chiesto, anche ieri, più rinforzi. La Regione Friuli Venezia Giulia ha ottenuto che al pattugliamento collabori il Corpo forestale. «Ma non siamo in emergenza, anche se i numeri sono in aumento» mette le mani avanti Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di solidarietà.

«Tra noi, la Caritas ed altre associazioni garantiamo almeno 1.200 posti nei centri di accoglienza diffusa, soprattutto appartamenti – spiega –, che fino ad oggi ha trovato il puntuale sostegno della Prefettura e degli altri enti». Don Alessandro Amodeo, direttore diocesano della Caritas, sottolinea che questo non è un problema di polizia. «Quando chi scappa dalla guerra, dalla violenza o dalla fame, viene intercettato nel cosiddetto retro-valico, mai è stato respinto in Slovenia, ma trova ospitalità nel nostro sistema di accoglienza, da dove magari si allontana perché appunto vuole raggiungere parenti o amici in altri Paesi. Come dire che è assolutamente improprio parlare di 'invasione'».

Il confine è lungo 54 km, solo dalla parte di Trieste e del Carso. La via dei Balcani è sempre più frequentata, dopo che all’inizio del 2016 l’accordo tra Ue e Turchia chiuse la rotta balcanica attraverso la quale 754 mila rifugiati si erano incamminati verso l’Europa occidentale. Dijana Muzicka, coordinatrice dell’emergenza della Caritas in Bosnia, ha fatto sapere che il numero dei migranti entrati in quel Paese è aumentato negli ultimi 12 mesi del 600%. Quanti arrivano a Trieste o Gorizia? Una quindicina al giorno, risponde Schiavone, intorno ai 5 mila l’anno. «I più restano invisibili» precisa.

Il governo sloveno ha denunciato che gli ingressi stanno raddoppiando e che ne ha espulsi ultimamente 1.550 (ben 4.653 l’anno scorso); dalla Croazia vengono rimandati in Bosnia. Un viaggio lungo la rotta dei Balcani costa circa 10 mila dollari e c’è chi, per pagare il debito, rimane legato alle organizzazioni criminali. Sono circa 4.000 i richiedenti asilo oggi ospiti in Friuli Venezia Giulia.

«Al momento questa città – sottolinea don Amodeo –, relativamente alla presenza di rifugiati, non ha problemi di ordine pubblico. Trieste è un modello civile e pacifico di convivenza, con appartamenti dislocati in tutta la città. Qui non esiste alcuna grossa concentrazione».

Che invece c’è, ad esempio, a Udine. Alla caserma Cavarzerani sono stati trasferiti nei giorni scorsi anche i 35 pachistani accolti sul confine di Tarvisio, presso l’ex caserma Meloni. La Caritas ed il Consorzio Ics hanno presentato, la scorsa settimana, un report che testimonia quanto la popolazione di richiedenti asilo e rifugiati sia giovane e composta per un terzo da nuclei familiari: «è un’enorme ricchezza sociale, specie per un Paese che invecchia rapidamente e nel quale la forbice tra popolazione attiva e non sta diventando drammatica», sottolinea Schiavone.

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