
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio - Reuters
«Il 18 gennaio la Cpi emetteva un mandato di arresto internazionale nei confronti di Almasri per una serie di reati - il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nella sua informativa alla Camera sul caso Almasri ha iniziato ricostruendo i fatti -. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione». Come è noto, il mandato veniva eseguito a Torino il giorno successivo. Il ministro ha voluto subito sottolineare che il suo ruolo «non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste. È un organo politico che deve meditare sul contenuto di queste richieste in funzione di un eventuale contatto con altri ministeri e funzioni organo dello Stato. Non faccio da passacarte».
Nordio ha spiegato poi che ha dato subito la disponibilità a riferire in Aula e «infatti eccomi qua per parlare di questa vicenda su cui ci sono state tante incertezze e inesattezze, come vedrete». Il ministro ha raccontato che fin dalla prima lettura dell'atto, arrivato in lingua inglese, ha notato una serie di problematiche che lo rendevano nullo. In particolare, c'era una grave incongruenza sulle date in cui sarebbero avvenuti i crimini: «Si dice a partire dal marzo 2015 ma nel preambolo si parlava del febbraio 2011, quando Gheddafi era ancora al potere». Interrotto da Bonelli, di Avs, sull'incertezza delle date il ministro risponde che la stessa Cpi ha ammesso in una riunione avvenuta successivamente che si era sbagliata. «Mi stupisce che avete parlato finora senza aver letto le carte», ha accusato le opposizioni. L'arresto quindi, secondo il ministro, sarebbe stato illegittimo perché c'era un vizio nel contenuto dell'accusa.
«Io rispetto le opposizioni che fanno il loro lavoro, capisco la stampa che ha anche commesso errori - ha concluso - ma mi ha deluso l'atteggiamento di una certa parte della magistratura che si è permessa di sindacare l'operato del ministero senza aver letto le carte. Cosa che può essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere. Con questa parte della magistratura sciatta, se questo è il loro modo di intervenire in modo sciatto, questo rende il dialogo molto molto molto più difficile. Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme devono essere rallentate. A questa parte della magistratura dico che ha compattato la maggioranza come finora mai accaduto, andremo avanti fino alla riforma finale».
A seguire, alla Camera, è intervenuto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. «Merita di essere preliminarmente precisato e sottolineato che il cittadino libico noto come Almasri non è mai stato un interlocutore del governo per vicende che attengono alla gestione e al contrasto del complesso fenomeno migratorio», ha detto nell'informativa. Piantedosi ha continuato smentendo che «il governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere, anche solo lontanamente, considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque, come è stato adombrato in alcuni momenti del dibattito pubblico». E poi il ministro dell'Interno è tornato a ribadire: «Come ho già detto al Senato durante il question time del 23 gennaio, l'espulsione di Almasri è da inquadrare (per il profilo di pericolosità che presentava il soggetto in questione) nelle esigenze di salvaguardia della sicurezza dello Stato e della tutela dell'ordine pubblico, che il governo pone sempre al centro della sua azione, unitamente alla difesa dell'interesse nazionale che è ciò a cui lo Stato deve sempre attenersi nell'obiettivo di evitare, in ogni modo, un danno al Paese e ai suoi cittadini». Una volta venuta meno, su disposizione della Corte d'Appello di Roma, la condizione di restrizione della libertà personale, «l'espulsione, che la legge attribuisce al ministro dell'Interno, è stata da me individuata quale misura in quel momento più appropriata per salvaguardare, insieme, la sicurezza dello Stato e la tutela dell'ordine pubblico». La predisposizione dell'aereo - ha aggiunto - rientra tra quelle iniziative a carattere preventivo.