giovedì 17 febbraio 2011
Il premier certo che arriverà fino a fine legislatura: la Lega è con me, faremo le riforme. Poi fa capire che non saranno i pm a fermarlo: sono 17 anni che vivo con i processi. Nelle motivazioni del rinvio a giudizio, glie elementi di prova contro il premier: la telefonata in questura, il denaro dato a Ruby e il suo interrogatorio.
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«Non faccia il birichino...». Ber­lusconi, con ampio sorriso, blocca il cronista che prova ad infilare la domanda su Ruby in una con­ferenza stampa dedicata tutta all’economia. «Della giustizia non parlo per amor di patria», dice con il volto più disteso che può. Al suo fianco ha Tremonti che lo aiuta a non devia­re sulle sue vicende giudiziarie, e la cui pre­senza deve certificare che tra palazzo Chigi e Tesoro c’è piena sintonia (come ribadiranno tempestive le note inviate dai colonnelli alle agenzie). «Vi dico una sola cosa – concede però il premier quando a incalzarlo sono an­che altri giornalisti –, io non sono per niente preoccupato». Parole scandite, accompa­gnate da un altro sorriso. E da un’idea fissa: «Andrò avanti fino al 2013». La sicurezza gli viene da quello che confida ai suoi a palazzo Grazioli: «Sono 17 anni che vivo con i pro­cessi, ne riparliamo quando arriviamo in ter­zo grado...». A dire che venderà cara la pelle. Ma come andare avanti? A partire dal patto di ferro con la Lega. «Siamo più coesi che mai, ieri Bossi, Calderoli e i capigruppo hanno pas­sato la sera con me, mi hanno espresso la lo­ro vicinanza e la voglia di continuare. Abbia­mo visto i programmi futuri». E Reguzzoni, quasi a confermare, dirà in giornata che i pa­dani alla Camera saranno «in assoluta sinto­nia » con le iniziative che il Pdl prenderà per tutelare il premier, sino al conflitto di attri­buzione dinanzi alla Con­sulta. Il senatur, però, è più sibillino: «Se il gover­no ha i numeri va avanti, se non ci fossero cadreb­be da solo». Il sostegno, cioè, è condizionato al­l’allargamento. E Berlu­sconi, allora, lo rassicura: «Nei prossimi giorni la maggioranza alla Came­ra arriverà a quota 325» (il serbatoio al quale si at­tingerebbe è sempre lo stesso: libdem, Mpa, fi­niani delusi). Ma il pre­mier è convinto che si possa andare avanti an­che per un dato politico: senza i «freni» attivati da­gli «statalisti finiani», è più facile - dice - fare riforma fiscale, liberalizzazioni, modificare giustizia civile e penale. Date que­ste premesse, è normale che quando gli vie­ne paventata l’ipotesi del voto anticipato ri­sponde bonario: «Ma no, altrimenti non sa­remmo qui a parlare di economia». L’unico riferimento alla giustizia è 'tecnico', ovvero ai «tempi inverosimili» di quella civi­le. È in questo fugace accenno che il cronista si intrufola con una battuta: «Però, presi­dente, quella penale va veloce...». È il temu­to riferimento al processo di Milano, ma il Cavaliere e Tre­monti stoppano tutto sul nascere. Ci riprova un altro giornalista, chie­dendo se il caso-Ruby possa inter­ferire sulla nomi­na di Draghi alla Bce. «Lei non è compus sui, vada a tradurlo». Come dirgli «lei non è padrone di sé». D’altra parte, nel­la 'strategia del ri­lancio' i «fatti» devono venire prima dei proble­mi processuali. Se il premier tiene la scena, i parla­mentari- giuristi e il collegio difensi­vo non conosco­no pausa.L’ab­bondanza di u­dienze dei prossi­mi mesi potrebbe aiutare Berlusconi: usando in modo 'scien­tifico' il legittimo impedimento potrebbe fre­nare il processo più delicato, quello su Ruby, prestandosi a quelli che sono più indietro o sul limite della prescrizione. Strategia-tam­pone, mentre la terapia d’urto è sempre quel conflitto di attribuzione che il gruppo Pdl a Montecitorio - con l’opposizione di Fini - po­trebbe sollevare alla Consulta, sostenendo che il 'tribunale naturale' è quello dei mini­stri. Il presidente del Consiglio Silvio Berluscono durante la conferenza stampa di ieri, a Palazzo Chigi, dedicata tutta all’economia e durante la quale il premier non ha voluto rispondere alle domande dei cronisti sul caso Ruby «per – ha detto – amore di patria»
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