giovedì 16 luglio 2009
Una coppia dal Lazio si è trasferita in provincia dell’Aquila Oggi offrono un supporto alla comunità segnata dalla tragedia.
COMMENTA E CONDIVIDI
Hanno una marcia in più: essere una coppia. Elena e Nicola Cerroni non si sentono speciali, hanno solo «risposto alla chiamata» , come dicono loro, di trasferirsi in Abruzzo per stare accanto ad un popolo che soffre. Da quasi tre mesi, infatti, vivono in una piccola casa ancora spoglia a Villagrande, una delle tante frazioni sperdute di Tornimparte, a ovest dell’Aquila, la zona affidata alla Caritas del Lazio. Elena e Nicola a Frosinone hanno lasciato «due figli grandi, che però necessitano ancora di mamma e papà, e una famiglia allargata d’altri tempi» . Ma i coniugi ciociari sono solo un esempio dei tanti volontari delle delegazioni Caritas che si sono spostati in provincia dell’Aquila «per mettersi accanto, anche in silenzio, a questa comunità lacerata dalla terremoto» . Entrando a Villagrande basta chiedere per strada di Elena e Nicola per capire che oramai loro sono parte integrante di questa collettività. Tutti, infatti, sanno che quella casetta bianca al centro del paese, una palazzina con qualche crepa come tante altre, ma che qui nessuno ha ancora il coraggio di abitare, è la loro. La porta è aperta, proprio per dimostrare alla gente che qui ognuno è il benvenuto, anche solo per scambiare due parole. «Avremmo potuto stabilirci in un container o in una tenda – spiega Nicola Cerroni – ma abbiamo scelto di affittare, come delegazione, una casa nella frazione principale del paese per dare un segnale, uno stimolo che aiuti la gente a trovare il coraggio di rientrare nelle proprie abitazioni perché il crollo della casa non rappresenta solo una perdita fisica, ma è simbolo di assenza di certezze. Ritornare negli edifici rappresenta così un segno concreto di ripartenza» . Elena è una donna umile e timida, negli occhi si legge la sua profonda umanità: «Non siamo da idealizzare – esordisce – volevamo solo aiutare gli altri. A questa terra ora cerchiamo di dare un supporto non materiale, ma tentiamo di ricostruire pezzetto per pezzetto l’anima in frantumi della gente» . Nel parlare ogni tanto tocca il crocifisso che porta al collo e il suo sguardo a volte si perde nel desolato scenario delle case deserte del paese che si intravede dalla finestra. «Qui tutti si sono abituati a noi e ci trattano come persone di famiglia – precisa – hanno capito che c’è la volontà di restare per tanto tempo, che non siamo venuti per dirgli le solite frasi di circostanza. Negli incontri che facciamo nella piazza del paese cerchiamo di pregare, di leggere il Vangelo alla luce di tutto quello che è successo, ma soprattutto di ascoltare. Qui sto facendo il mio migliore corso di formazione in teologia; sono queste persone a insegnarmi tanto». Solo vivere insieme a chi è ancora scosso porta a individuare i veri bisogni della gente e a saperli affrontare con tempestività; proprio questo è lo spirito dei gemellaggi Caritas. Un lavoro lungo e difficile fatto di ritrovi, ma soprattutto di quotidianità in cui non si è chiamati al «fare» ma semplicemente a mettersi accanto, anche senza dire nulla, a persone segnate da una tragedia. Uomini e donne che con il passare delle settimane iniziano a mostrare segni d’insofferenza per la vita nelle tendopoli, luoghi in cui speranza e sfiducia finiscono per confondersi in sentimenti e sensazioni difficili da descrivere. La forza di Nicola e Elena però è la loro unione trentennale, è una sorta di esperienza di famiglia insomma: «Sarebbe molto più difficile, forse impossibile farlo da soli», sottolineano. È fondamentale infatti, secondo loro, avere degli adulti e ancora di più una coppia presente sul territorio «non perché siamo migliori degli altri, ma semplicemente perché possiamo capire meglio i problemi di una famiglia o di genitori, condividendo il loro dolore. L’essere coppia, il vivere già una nostra dimensione di complicità e reciprocità ci aiuta poi a saper reagire di fronte a situazioni di grande sofferenza, affrontandole insieme» . E in questa terra, è proprio dalla famiglia che si deve ripartire, quando quel porto franco delle mura domestiche non c’è più e al suo posto ti ritrovi a vivere in un sottile strato di tela blu.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: