martedì 4 aprile 2023
Dalla Lomellina al Novarese, è già scoppiata la battaglia per dissetare i terreni. Le aziende, in lotta con i consorzi, non investono più e rischiano la bancarotta
La sofferenza dei terreni in Lombardia: la terra ha sete, ma la semina slitta

La sofferenza dei terreni in Lombardia: la terra ha sete, ma la semina slitta - .

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Idrovora selvaggia si presenta a mezzanotte. Quando non si vede più la polvere che sollevi, a camminare in risaia. Allora, sotto le stelle nitide della Bassa, il trattore inizia a sbuffare. Gira velocissima la presa di potenza. Durante il giorno aziona l’erpice e di notte muove la turbina: succhia tutto quel che c'è sul fondo del canale e finisce la poca acqua che doveva arrivare al vicino, qualche chilometro più a valle. Succede sempre più spesso, in queste estati secche e disperate. In Lomellina ma anche nel Novarese, come pure nel Vercellese e così via, a risalire fino al Monviso.

Ci si ruba l’acqua che non c’è. Può finire a badilate, o più prosaicamente con una denuncia, se il derubato quella sera aveva deciso di fare il “giro dell’acqua” invece di dormire. Più sovente, l’epilogo di quelle notti secche è la vendita dell’azienda agricola a prezzi di saldo. Bancarotta e infarti. In Pianura Padana, la guerra dell’acqua è scoppiata da un anno e la politica non sa che fare. S’inventa un commissario che non può far piovere. Progetta nuovi invasi ma i laghi alpini sono vuoti. Il Maggiore ha abbassato pudicamente le paratoie, sperando di tesaurizzare l’oro bianco in vista dell’estate. Ogni giorno di sole che passa, viene a galla l’impreparazione a gestire l’emergenza. Il caso del riso è paradigmatico: si discetta per mesi sull’importanza di anticipare la bagnatura dei campi, perché ciò consentirà di rimpinguare la falda freatica come solo l’irrigazione in sommersione può fare; si stanziano persino dei soldi per chi ricorre a tecniche di semina in acqua, ma poi l’hanno deciso l’altro giorno in Regione Lombardia - si decide di posticipare le irrigazioni di un mese. Come tutte le imprese, anche le cascine vivono di programmazione.

Adesso, sono costrette a programmare a breve, anzi a brevissimo… la mattina ci si alza e si guarda il cielo: non piove, quindi non si semina. «Sono un’imprenditrice agricola e l’anno scorso ho rischiato, seminando cinquanta ettari di riso. I consorzi irrigui mi hanno ridotto l’acqua, sempre di più, sempre di più… Sono iniziati i turni. In teoria, doveva esserci poca acqua per tutti, eppure quando arrivava il mio turno la disponibilità era già finita. Perché qui di notte è il far west ». Giovanna Daghetta è una signora e non va in giro con il badile a difendere i suoi metri cubi. Intorno alla sua cascina, in questo momento cresce il triticale. Giovanna ha rinunciato ai 326 euro all’ettaro che l’Unione europea concede a chi semina riso. In tanti potrebbero fare come lei. L’Ente Nazionale Risi ha già stimato una contrazione delle semine di primavera del 3,4% (da 218 a 211mila ettari) ma si vocifera che la fuga dalla risaia possa riportare le lancette dell’orologio al 1982, quando gli ettari coltivati erano meno di 180mila. Sicuramente, l’aiuto specifico al riso non è più sufficiente a frenare questo esodo, anche se le alternative sono poche. Il mais richiede ben più acqua del riso. La soia si accontenta, ma deve pur sempre esser dissetata. Restano gli autunno-vernini, tipo il frumento. Come dice il nome, però, si dovevano seminare qualche mese fa.

Tra aziende e consorzi di bonifica è in atto uno scontro

Tra aziende e consorzi di bonifica è in atto uno scontro - .

Alla cascina Panza fa male rinunciare al riso. Risicoltore è Giovanna, risicoltore era il padre, risicoltori i nonni… Una tradizione che accomuna quattromila aziende, concentrate per lo più tra Vercelli, Novara e Pavia. Non è un caso che questa categoria goda di un aiuto accoppiato come poche altre colture. Il riso, infatti, non è un cereale autoctono: importato dall’Asia nel Quattrocento, ha permesso di bonificare le paludi e di sconfiggere la fame; ma è un successo che dipende dalla regimazione delle acque. Chi coltiva riso deve sapere di idraulica, di chimica e di botanica: come livellare le camere perché l’acqua scorra né tanto né poco; come costruire le bocchette e come usarle; come e quando bagnare, affinché il diserbante sia efficace. Un’economia fondata su volumi, tempi, flussi, previsioni meteo e complicati calcoli altimetrici, che servono a stabilire esattamente dove andrà l’acqua e in quanto tempo. Logicamente, se l’acqua non c’è tutto salta. Se poi viene rubata di notte, ancora peggio. Se, infine, le Province autorizzano a scavare decine di pozzi lungo l’asta dei principali canali è arduo pensare a una programmazione. In questa zona, la falda si è abbassata vertiginosamente. Neanche le radici dei pioppi la trovano più.

La Lomellina, del resto, ha un rapporto difficile con l’acqua. « I miei campi - ammette Giovanna - in parte sono sabbiosi e quelli del mio vicino argillosi, cioè trattengono l’acqua. La quantità di metri cubi che utilizzo per una bagnatura a lui basta per tenere umido il terreno per venti giorni giorni». La composizione del terreno è un fattore decisivo per l’irrigazione: nel Vercellese, ma anche nel Novarese e nell'alta Lomellina, dove ci sono i terreni più pesanti, bastano 1,6 litri per secondo ad ettaro, laddove in altre zone della Lomellina ne occorrono 16. I più accorti tra i risicoltori che seminano in acqua (dove arriva) praticano la “pesta”, una procedura che smuove limo e argilla, creando un film impermeabile che riduce il fabbisogno a 2,4 litri al secondo. Nei canali del consorzio Est Sesia, lo stesso che serve la cascina Panza un ampio comprensorio tra Piemonte e Lombardia, in questi giorni arrivano a scorrere, al massimo, duemila litri di acqua contro i tredicimila degli anni scorsi. Il canale Regina Elena, che unisce le acque del canale Cavour e del Ticino, è vuoto. Perciò, si litiga sulle gocce.

L’Est Sesia oggi approva un regolamento irriguo che riserva il 20% dell’acqua futura alla Lomellina. L’obiettivo è quello di evitare l’ecatombe produttiva dello scorso anno. Per farlo, tuttavia, deve lasciare a secco il Novarese, imponendo lunghe turnazioni. Ovviamente, i novaresi protestano e la Regione Piemonte ieri ha mandato una letteraccia al consorzio, intimando di ripensarci. Ma arriva in ritardo. Non si è accorta che il più grande consorzio irriguo piemontese è talmente cresciuto ad est che la maggioranza degli utenti oggi è lomellina e il nuovo regolamento è figlio di questa maggioranza, che cerca di mettere in sicurezza le proprie aziende. Nulla di illegale o illegittimo: semplicemente, l’acqua è un bene pubblico ma i consorzi irrigui sono enti privati. Solo Giove pluvio può risolvere la querelle. Quanta risorsa idrica ci sarà nei canali tra Piemonte e Lombardia quest’estate dipenderà dalle piogge tra maggio e giugno, le uniche in grado di riempire il lago Maggiore. Per rendersi conto di quanto sia grave la situazione, però, basta fare qualche telefonata alle assicurazioni agricole. Nessuna assicura il danno da siccità, se non a condizioni capestro. Perché non si assicura una certezza.

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