martedì 22 dicembre 2015
Nella classifica della “qualità della vita delle città italiane” curata dal “Sole24Ore” non si tiene conto degli aspetti immateriali e della qualità delle relazioni sempre più decisive nel benessere del XXI secolo. Non generare figli è un segno di qualità della vita? La povertà degli altri non dice nulla al nostro benessere? (Luigino Bruni e Alessandra Smerilli)
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 Anche quest’anno è arrivata puntuale la classifica della “qualità della vita delle città italiane” curata dal “Sole24Ore”. E anche quest’anno le città del nord si confermano ai primi posti (con Bolzano in testa) e quelle sud in coda (chiude Reggio Calabria). Le aree tematiche sono sempre le stesse, con qualche leggero cambiamento di indicatori all’interno di ciascuna area. Anno dopo anno, però, questa analisi sta diventando “vecchia”. Nel frattempo sono nati altri indicatori di qualità della vita, capaci di cogliere più dimensioni del benessere e del malessere nella società italiana che negli ultimi decenni è cambiata rapidamente e profondamente. Sono poi sorti studi sulla felicità soggettiva delle persone, che stanno evidenziando molti paradossi, dicendoci che gli aspetti immateriali e la qualità delle relazioni sono sempre più decisivi nel benessere del XXI secolo, soprattutto nei Paesi europei. Le misurazioni non sono mai neutrali. Esse dipendono dalle ipotesi etiche e antropologiche di chi misura e costruisce modelli statistici. Questa del “Sole” risente molto, troppo, di una visione economicista e quindi riduzionista della vita e del benessere umano. Qualche esempio. Prendiamo l’indicatore che mette in rapporto la qualità della vita con la popolazione. Molte provincie  della Sardegna sono ai primi posti in questo indice, e la ragione è semplice ma sconvolgente: hanno una bassa “densità di popolazione”. Bassa densità di popolazione per il “Sole24Ore” è un indicatore di qualità della vita. «La Sardegna sbaraglia tutti in demografia», dice il rapporto. Ma la bassa densità dipende anche dal basso tasso di natalità. In Sardegna il tasso di natalità è, infatti, il più basso d’Italia: non generare figli è un segno di qualità della vita?  Roma, poi, è al sedicesimo posto (su 110) nella classifica, ma chi vive e lavora a Roma non fa l’esperienza di una città con qualità della vita medio- alta. L’esperienza di chi esce al mattino di casa con mezzi pubblici o privati è quella di chi sa a quale ora esce, ma non a quale ora arriverà a lavoro, di chi sa che trascorrerà molto tempo in coda nelle strade e che quando finalmente cammina inciampa in un’infinita quantità di buche. Indicatori, questi, che non entrano tra quelli proposti, così come non entrano i tempi di attesa per la sanità. Per non parlare in questi giorni della qualità dell’aria e dei poveri che continuano a dormire per strada. Questi “indicatori” non dicono nulla sulla qualità della vita di Roma o di Milano (che si piazza al secondo posto)? La povertà degli altri non dice nulla al nostro benessere? Se, poi, andiamo a guardare alla misurazione del tempo libero in rapporto alla qualità della vita, ci accorgiamo che il tempo libero che entra nella classifica è solo il tempo libero che passa per il mercato. Quindi se in una città i bambini giocano di più nelle piazze o negli oratori, se la gente che pedala corre ancora per le spiagge o nei boschi (e non in palestra), se la sera le persone vanno a cena da amici e da parenti, lì, per il “Sole24 ore”, c’è una minore qualità della vita rispetto a una città dove sono presenti più palestre, ristoranti, e bar (magari pieni di slot machine). E così Roma si trova più in alto di Ascoli Piceno, un ranking che nessun essere umano cosciente che vive veramente nelle due città potrebbe mai condividere.  Nel Bes (benessere equo e sostenibile), invece, nell’area “relazioni sociali” ci sono indicatori che rilevano la percentuale di bambini che giocano tutti i giorni con i genitori, o quella delle persone che si ritengono soddisfatte delle loro relazioni, o l’indice di fiducia. Non c’è nulla di strano che il “Sole” faccia la sua classifica della qualità della vita, con i suoi metodi, le sue ipotesi antropologiche e la sua visione del benessere e della vita buona. Più problematico è affidare a un giornale economico-finanziario che è espressione del mondo industriale il compito di stilare la classifica della qualità della vita in Italia, e poi trarne indicazioni generali. La tradizione italiana di economia e di statistica, nata dalla tradizione dell’economia civile (si pensi a Melchiorre Gioja, nei primi dell’Ottocento), ci ha offerto una visione molto più articolata e plurale della qualità della vita. Più recentemente economisti come Giorgio Fuà e Giacomo Becattini hanno scritto pagine splendide sul bisogno di allargare lo sguardo del benessere dal reddito alle relazioni umane e all’ecologia. Autori troppi distanti dalla cultura (prevalentemente) anglosassone del “Sole24ore”, che continua a produrre dati che dicono troppo poco della qualità della vita vera della gente vera delle nostre città.
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