martedì 22 settembre 2020
Il lavoro di Rosario Livatino è diventato un concreto segno di speranza e di cambiamento. Siamo a contrada Gibbesi, nelle campagne di Naro....
La targa della cooperativa dedicata a Livatino

La targa della cooperativa dedicata a Livatino - .

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Il lavoro di Rosario Livatino è diventato un concreto segno di speranza e di cambiamento. Siamo a contrada Gibbesi, nelle campagne di Naro. Qui sui terreni che a metà degli anni 80 sequestrò il giovane magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, lavora la cooperativa che porta il suo nome. Ma proprio qui, dopo trenta anni, si tocca ancora con mano un’illegalità sfacciata, violenta, arrogante. Parte dei terreni assegnati nel 2012 alla cooperativa sono occupati abusivamente, più di 70 ettari su 370. «Abbiamo cominciato a denunciare nel 2015 e continuiamo a farlo ogni anno, ma senza risultati», ci racconta il presidente Giovanni Lo Iacono. Intanto la cooperativa ha subito tantissimi danneggiamenti. Gli ultimi in piena pandemia.

Il campo di grano bruciato a giugno

Il campo di grano bruciato a giugno - .

A maggio l’intero terreno coltivato a ceci, ben 20 ettari, è stato distrutto dal gregge di circa duemila pecore che occupa abusivamente alcuni ettari: 150 quintali persi. A giugno un incendio, quasi certamente doloso, ha bruciato 10 ettari di grano: 200 quintali in fumo. Il secondo nello stesso posto in due anni. Malgrado siano passati tre mesi si vede anco- ra la grande chiazza nera. Ma ancora più palese è l’occupazione da parte di un pastore. C’è un grande ovile coperto, e decine di balle e rotoballe di fieno. E ovunque i segni del passaggio delle pecore. Un’offesa all’impegno di Livatino, a quel sequestro nei confronti della cosca Guarneri di Canicattì, il suo paese. Ma non è storia di oggi.

Il terreno occupato abusivamente da un pastore

Il terreno occupato abusivamente da un pastore - .

«Quando siamo arrivati otto anni fa l’ovile era già presente. Poi negli anni il pastore si è ulteriormente allargato e le pecore fanno tanti danni », denuncia Lo Iacono. Una vicenda chiarissima ma nessuno interviene. Più complessa la storia dell’altra occupazione abusiva. «Al momento della consegna dei 70 ettari c’erano rappresentanti del Comune, dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, delle Forze dell’ordine. Sul verbale di consegna c’era scritto che i terreni erano liberi. Ma noi abbiamo fatto scrivere che non lo erano. C’era anche una sbarra con lucchetto che impediva l’accesso. Che c’è ancora», ci dice Giovanni facendocela vedere. L’occupante dice che il padre lo aveva avuto in affitto dal Demanio, che gestiva i beni confiscati prima della nascita dell’Agenzia. «Un contratto che non abbiamo mai visto. E comunque dopo l’assegnazione alla cooperativa doveva andarsene. Invece non lo ha fatto, ha presentato ricorso al Tar e ha perso. Ha fatto una denuncia contro Comune e Agenzia, e ha perso di nuovo. Ma è sempre lì».

Ci sono un pescheto, un albicoccheto, una vigna, colture seminative, con impianto di irrigazione. Nel 2017 la cooperativa ha presentato il recesso dal contratto per inadempienza. «Siamo disposti a riprenderlo e coltivarlo ma solo se libero », sottolinea Giovanni che poi si sfoga: «Così non si può lavorare. Noi presidiamo questi terreni per conto dello Stato, ma abbiamo bisogno di sicurezza e dei mezzi per poter vivere. Rischiamo di non portare a casa il pane. Viviamo solo di questo. Ma non siamo liberi al 100%». Terra ricca e bellissima, questa tra Naro e Canicattì. Campi coltivati, pascoli, rocce. Sembra il Far West, ma è Sicilia doc. Terra difficile. Proprio di fronte ai terreni della cooperativa si vede un vigna crollata a terra. Qualcuno il 10 settembre ha tagliato i tiranti facendo cadere più di duemila piante.

Una chiara intimidazione. C’è una gran brutta aria. Per questo dopo i danneggiamenti di maggio e giugno, e col perdurare delle occupazioni abusive, la cooperativa ha presentato una denuncia direttamente alla procura di Agrigento. Ottenendo l’attenzione del procuratore, Luigi Patronaggio. Ma la vita e l’impegno non si fermano di certo. Quattro soci, di cui tre lavoratori, e sette lavoratori stagionali tutti di Naro, coltivano 150 ettari a grano e legumi sia a Gibbesi che in contrada Virgilio (altri 150 sono rocce e pascolo), oltre a 5 ettari di vigna a Castel Termini. Tutta la produzione viene conferita al Consorzio Libera terra che trasforma e commercializza i frutti del lavoro delle cooperative legate a Libera. Inoltre la Livatino ha in gestione in contrada Robadao un grande edificio realizzato come centro di aggregazione sociale, coi fondi del Pon sicurezza del ministero dell’Interno, dove si trova anche la base scout Agesci intitolata al giudice Antonino Saetta e al figlio Stefano, uccisi dalla mafia il 29 settembre 1988, due anni prima di Livatino di cui era amico.

Qui si svolgono varie iniziative sui temi della legalità e della lotta alle mafie, in particolare i campi di lavoro di Libera che ogni anno portano migliaia di ragazzi a passare parte delle vacanze sui beni confiscati. «Molti dei ragazzi non conoscono la storia di Livatino e la raccontiamo noi. Rimangono molto colpiti. Scoprono che, pur sconosciuto, aveva fatto i primi sequestri. Era un giovane come loro, una persona normale che però nonostante un periodo drammatico faceva il suo lavoro bene e in silenzio ». C’è tanta voglia di fare tra i soci della cooperativa. Ma quanti ostacoli! Proprio accanto all’edificio, Giovanni ci fa vedere i resti di alcune arnie bruciate. Una delle tante intimidazioni subite in questi anni. Era accaduto cinque anni fa, pochi giorni prima del 25° anniversario dell’uccisione di Livatino. Ma non si sono fermati e ancora producono miele con cento arnie. Ma devono combattere anche contro burocrazia e politica: «Vorremmo usare l’edificio anche per realizzare un laboratorio di smielatura ma il comune non ci permette il cambio di destinazione».

Eppure la cooperativa si è dovuta accollare il costo dell’accatastamento dell’edificio che il Comune non poteva fare per mancanza di fondi. Per poi vedersi arrivare un’ordinanza dello stesso Comune per i rifiuti sui campi attorno all’edificio. «Ma erano lì da prima del nostro arrivo. Li avrebbero dovuti togliere loro. E infatti hanno perso e hanno dovuto pulire ». E invece i soldi servirebbero per altro. Per rimettere in funzione l’impianto di condizionamento realizzato male, per acquistare un nuovo trattore e un pullmino per portare gli operai sui terreni più lontani. Qualcuno li può aiutare? Questi giovani sono davvero un presidio di memoria che si fa impegno. «Noi non ci arrendiamo – afferma con convinzione Lo Iacono – perché vogliamo agire necessariamente per la giustizia, a qualunque costo, anche per la grande responsabilità di portare il nome di Livatino. Per noi è un onore e una spinta a fare di più.

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