sabato 26 marzo 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Ora che c’è la cornice, si può pensare al quadro. Manca solo l’ultimo 'sì' del Senato, che dovrà arrivare necessariamente entro il 15 aprile per rispettare la scadenza della conversione in legge del decreto governativo. Poi, a quel punto, la riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) sarà definitivamente approvata. Si tratta di un’intelaiatura normativa cominciata con una proposta di autoriforma elaborata da Federcasse e che la versione attualmente all’esame di Palazzo Madama accoglie nei suoi punti cardine. Ma che cosa prevede la riforma? E che cosa cambierà per le Banche di credito cooperativo? Partiamo col rispondere alla prima domanda, per vedere cioè come è stato realizzato il telaio. Anzitutto con questo provvedimento nascerà una capogruppo delle Bcc, in forma di Spa, la cui soglia di capitale è fissata a un miliardo di euro. L’adesione dei singoli istituti (attualmente sono 364) a questa holding è la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività come Banca di credito cooperativo. Le Bcc contrarie all’ingresso nel gruppo unico, per non farne parte, dovranno rispettare alcune caratteristiche e prendere una decisione entro 60 giorni dal- la conversione. Fino a metà giugno, quindi, potranno sfruttare il meccanismo della way out (via d’uscita) gli istituti con un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro (da calcolare al 31 dicembre 2015) e di cui pagheranno un 20% come tassa straordinaria allo Stato. Ad avere questi requisiti, sulla carta, sono 14 Bcc. Ma si pensa che saranno molte meno quelle che non aderiranno al progetto unitario. Con la correzione in Parlamento al testo varato nel Consiglio dei ministri del 10 febbraio, è stato superato pure lo scoglio delle riserve indivisibili: resteranno tali grazie allo scorporo dell’attività bancaria dalla coop. Quest’ultima dovrà comunque cambiare la sua mission sociale, visto che non opererà più nel settore del credito. Infine, è stato inserito un diritto di recesso dalla holding anche per chi volesse distaccarsi in un secondo momento. A quel punto, però, niente più way out: liquidazione o trasformazione in Spa (lasciando ovviamente le riserve). Tertium non datur. Il collegamento tra la capogruppo e le Bcc aderenti, invece, avverrà attraverso accordi contrattuali denominati 'contratti di coesione', che regoleranno i poteri della holding su ciascuna singola banca aderente. Poteri che, in soldoni, saranno più o meno stringenti a seconda del grado di rischiosità e di buona gestione di ciascun istituto. Ci si baserà, insomma, sul criterio di 'meritevolezza'. Il capitale della holding sarà detenuto per il 51% dagli istituti che ne fanno parte. Anche se il ministero dell’Economia - sentita la Banca d’Italia - potrà prevedere in alcuni casi motivati e specifici che si scenda sotto la quota di maggioranza. Passando dalla cornice normativa al sistema che ne è direttamente interessato, ovvero al quadro, la riforma rappresenta una sorta di 'via italiana' alla cooperazione bancaria nel mutato contesto regolatorio e finanziario europeo. Un modello di integrazione equilibrata – nuovo sia nella forma sia nel metodo – ma con cui si vuole mantenere l’autonomia della originalità mutualistica. È proprio questa la sfida che il mondo delle Bcc è chiamato ad affrontare: crescere e cambiare – per restare sul mercato da protagonisti –, ma allo stesso tempo tutelare e rafforzare una biodiversità di banche che sostengono le economie del territorio. La riforma, comunque, avrà il beneficio di riunire quasi tutte le Bcc dentro la stessa 'casa'. Una struttura ampia, stabile, di pregio. Per un comparto cooperativo che si appresta a diventare a tutti gli effetti il terzo gruppo bancario del nostro Paese ed il primo per apporto di capitali interamente italiani. © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: