domenica 4 aprile 2021
Dalla criminalità all’arresto fino all’incontro con la Papa Giovanni XXIII: così Franco Di Nucci si è ricostruito una vita nelle Comunità dell’associazione che accolgono i detenuti a fine pena
Gli ospiti della Cec di Guglionesi, in Molise, coltivano i campi, allevano gli animali e imparano l’apicoltura

Gli ospiti della Cec di Guglionesi, in Molise, coltivano i campi, allevano gli animali e imparano l’apicoltura - .

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«La resurrezione? È qualcosa che si può sperimentare nella vita di ogni giorno. Io mi considero un risorto. Il male che ho compiuto mi ha sottomesso, il bene che ho incontrato mi ha fatto rinascere». Non usa mezzi termini Franco Di Nucci, per definire la sua vita travagliata e costellata di cadute, ma con la quale si è riconciliato. Nasce in una famiglia «modesta ma onesta », con i genitori costretti a grandi sacrifici per mantenere i tre figli. «Io sono venuto al mondo per sbaglio, undici mesi dopo mia sorella, con un fratello disabile di cui mi vergognavo. Desideravo che morisse, e lui è morto davvero, a 13 anni. Volevo crescere in fretta per dimostrare che sarei stato il migliore, per farlo ho cercato strade dal guadagno facile, sempre alleato con i più forti, e ho avuto successo con i bar e i videopoker».

Si sposa, nascono due figli che «erano lo strumento per colmare i miei vuoti affettivi», quando diventano grandi e prendono la loro strada il matrimonio va in crisi. Dopo la separazione Franco viene inghiottito in un vortice di scelte sbagliate, dall’uso di sostanze al commercio di armi e auto di grossa cilindrata con l’Albania, fino al giorno in cui – durante l’ennesima consegna di “merce” – si trova davanti a un lenzuolo bianco che copre il cadavere di un tabaccaio a cui avevano sparato.

«Non saprò mai se era stato ammazzato con le mie armi, ma fu come se una spina si fosse conficcata nel mio fianco. Non feci la consegna, mi fermai davanti a una chiesa e dal cuore salì una preghiera: 'Dio, fermami tu perché io non mi fermerò mai'. La mattina dopo venni arrestato per traffico internazionale di armi». In carcere incontra un volontario della Comunità Papa Giovanni XXIII e inizia un percorso di rivisitazione della sua vita: dopo averla buttata via impara ad amarla, prende coscienza che c’è sempre una “seconda possibilità”. «Ho cominciato a sentirmi libero perché non ero più vittima del mio male. Non posso dire di avere sofferto la carcerazione, ho sempre pensato che fosse giusto essere lì dentro a causa di quello che avevo fatto. L’incontro con gli amici della Comunità Papa Giovanni XXIII è stato l’inizio della mia resurrezio- ne».

Franco Di Nucci (il secondo da sinistra, in prima fila) insieme ai ragazzi della Cec di Vasto

Franco Di Nucci (il secondo da sinistra, in prima fila) insieme ai ragazzi della Cec di Vasto - .

Dopo quattro anni entra al Pungiglione di Pontremoli, una delle strutture che realizzano il progetto Cec (Comunità educante con i carcerati), dove i detenuti scontano la parte finale della pena in un percorso che è insieme presa di coscienza del male commesso, riabilitazione personale alla luce della fede cristiana e preparazione al reinserimento nella società attraverso il lavoro. «Lì ho incontrato persone che hanno abbracciato la mia persona con tutto il suo male, mi hanno ascoltato e accompagnato.

Ogni mattina leggevamo “Pane quotidiano”, un brano del Vangelo con il commento di don Benzi, grande persona dalla quale ho imparato che l’uomo non è il suo errore». Da poche settimane Giorgio Pieri, coordinatore nazionale del progetto Cec, ha pubblicato Carcere, l’alternativa è possibile (Sempre editore) che illustra la storia e i successi di questa iniziativa che mette in atto un autentico ribaltamento della logica meramente punitiva praticata nella quasi totalità dei penitenziari italiani. È grazie a questa proposta che Franco ha potuto rileggere la sua storia e intraprendere una nuova vita. «Sono stato in carcere per reati gravi, ma ci sono altre cose che gravano sulla mia coscienza: ai tempi del referendum sull’aborto militavo nel fronte di quelli che volevano la conferma della legge 194. Mi sentivo uno “nato per sbaglio” perché la mamma era rimasta incinta due mesi dopo avere partorito mia sorella e quindi giustificavo la mia scelta. Ma se mio padre e mia madre avessero ragionato come me non sarei venuto al mondo, è stato il loro amore per la vita che mi ha salvato. E grazie alla fede ritrovata in carcere, la possibilità di ricominciare è stata più forte del senso di colpa che mi faceva sentire condannato per sempre».

Oggi Franco è responsabile della Cec Santi Pietro e Paolo di Vasto in Abruzzo dove mette a frutto quello che ha imparato sulla sua pelle. «Quando mi hanno chiesto di assumere la responsabilità di questo luogo temevo di essere inadeguato, strada facendo mi sono reso conto che Dio non sceglie chi ha le capacità, ma dà le capacità a chi ha scelto. E così, uno come me che ha alle spalle una famiglia sfasciata è diventato padre di tante persone uscite dal carcere che hanno scelto di cambiare vita».

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