venerdì 30 agosto 2019
L’incontro con le famiglie dei due cuginetti falciati a Vittoria: «Ecco come è cambiata la nostra vita» La casa messa in vendita, la rabbia nei confronti di chi è già libero
Alessio e Simone in un video tratto da YouTube

Alessio e Simone in un video tratto da YouTube

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Una coppia di bracciali. Uno verde, l’altro rosso. Ai polsi di Valentina e Lucy, mamme di Simone e Alessio D’Antonio, i cuginetti falciati a Vittoria l’11 luglio scorso, nel Ragusano, spezzano il nero del lutto. «In quello rosso è inciso il Padre Nostro, il verde serviva invece ad identificare la squadra di appartenenza al Grest». Li accomunano nel dolore che prepotente è entrato nella loro vite. Quando una Jeep Renegade – alla guida Rosario Greco, 37 anni – li ha centrati in pieno, Alessio e Simone, 11 e 12 anni, avevano la testa china sul cellulare in mano, seduti vicini sull’uscio della casa della dirimpettaia.

Oggi, la proprietaria di quell’appartamento al piano terra di via IV aprile, è andata via. «Ha sistemato l’ingresso, la facciata, sostituito il portone ed ha piazzato un “Vendesi” sulla finestra. La scena agghiacciante di quella maledetta sera è un’ossessione per tutti qui», racconta Tony. Che allunga il piede su una macchia rossastra sbiadita dal sole: «Questo è sangue. È il sangue di mio figlio e di mio nipote». In questo budello di Vittoria, un fitto reticolato di case tagliate da via Cavour, il corso principale, il tempo si è fermato. Restano decine di necrologi incollati ai portoni delle abitazioni perché «siamo tutti parenti.

Qui Simone ed Alessio sono cresciuti e si sono sentiti al sicuro. Fino a quel tragico giorno». «La casa dove vivevamo con Alessio è chiusa. Non ci abbiamo più messo piede », dicono i genitori Lucy e Alessandro. Lui ha assistito impotente a tutta la scena. Era seduto al balcone mentre teneva d’occhio la piccola di due anni, Azzurra.Tre portoni più avanti vivono i cognati Valentina e Tony. «Così è cambiata la nostra vita, la nostra casa».

Mostrano un casco da go-kart chiuso in una teca di vetro che campeggia sulla parete attrezzata: «Me lo ha portato il mio meccanico. Era il casco di Simone». Con il cuginetto Alessio aveva condiviso la passione della velocità, le macchine d’epoca, le due ruote. La casa è invasa di modellini e di coppe. «Di vittorie ne abbiamo collezionate tante. Sul podio saliva sempre Simone a ritirarle. Era il suo momento preferito».

Uniti nella vita, uniti nella morte. Perché Simone ed Alessio erano una cosa sola. «Hanno frequentato il nido assieme, poi la materna, la primaria e fra qualche giorno avrebbero iniziato la scuola media», ripete Lucy. «Il corredo scolastico era pronto. Tutti i suoi libri li ho regalati a chi non avrebbe potuto acquistarli. Quello di religione però l’ho riservato a Manuel, il suo migliore amico», racconta mamma Valentina. «Fu il primo che comprammo». Mentre lo poggia sul pc («nuovo, non ha fatto in tempo ad usarlo, glielo avevano regalato per la Prima Comunione») afferra un gigantesco peluche di Topolino, accarezza le coperte, ci mostra le foto: «Voleva andare da Papa Francesco. Andremo noi al suo posto. Ci hanno contattato annunciandoci che il Santo Padre vuole incontrarci», le fa eco la cognata.

«Simone voleva andare anche a Pietralcina» ricorda la mamma. Era innamorato della Chiesa e recitava le preghierine a Padre Pio: «Ha deciso tutto lui: voleva fare il ministrante, portava la croce astile. Mi dicevano: “Si farà prete”», con un sorriso smorfiato dal dolore. Alessio invece amava suonare.

A nove anni gli era arrivata la prima batteria. Nelle case dei piccoli Alessio e Simone è piombato il silenzio. Tutto è cambiato. Neppure i muri gialli della parete della camera che Simone divideva con il fratello Gabriele, riescono a fare luce nella casa D’Antonio. Il sole fatica a filtrare. Valentina estrae il letto a cassettone: «Qui dormiva Simone e Gabriele sopra. Li trovavo mano nella mano quando di addormentavano. Adesso in questa stanza si svolgono i suoi colloqui con gli psicologi. Stanno facendo un grande lavoro». «Sono venuti a trovarci tanti giornalisti, i parroci della città, alcuni ministri », ricordano i genitori dei piccoli.

«Con Azzurra invece ci siamo trasferiti dalla nonna», incalzano Alessandro e Lucy. «Vogliamo giustizia – sibilano di rabbia e tristezza –. Gli altri che erano in macchina con l’uomo che era alla guida sono scappati e ora sono liberi, li incontriamo pure per strada. Anche loro sono complici con chi guidava l’auto che ha ucciso i nostri figli». Lunedì i fratelli Tony e Alessandro rientreranno a lavoro: «Dobbiamo riprendere in mano la nostra azienda, ma – ripetono – non sarà facile». Il giornalista antimafia di Tv2000 Paolo Borrometi ha pubblicamente rivolto l’invito alle aziende ad acquistare dai fratelli D’Antonio i colli di plastica e i cartoni per le cassette per la frutta.

«Ma il nostro fatturato è sceso, nessuno ha ascoltato l’appello». In tanti continuano a comprare «dalla famiglia di chi ha ucciso i nostri figli» che per ironia della sorte «produce quello che produciamo noi». «Questo nostro dolore non deve essere dimenticato e lo Stato deve assicurarci giustizia», si guardano negli occhi facendo quadrato nel salotto della casa dei genitori di Simone. «Chi ha ucciso i nostri figli non avrà il nostro perdono, mai». In ricordo di Alessio e Simone sarà inaugurato, il prossimo 2 ottobre, “Il giardino della memoria” nella scuola Portella della Ginestra.

All’ombra di un ulivo i loro nomi saranno incisi, ancora una volta l’uno accanto all’altro, insieme. Come era stato per la Prima Comunione e il giorno prima al mare; davanti ai videogiochi a sfidarsi e nella foto che li ritrae mano nella mano, divenuta ormai il simbolo di una pagina destinata a non uscire più dal cuore della Sicilia.

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