venerdì 16 settembre 2011
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​Può sembrare paradossale, ma ieri il premier sembrava sollevato da quanto accaduto a Bari. «Finalmente magistrati responsabili», dice a proposito della decisione dei pm Pontassuglia e Angelillis di non trascrivere le intercettazioni penalmente irrilevanti, quelle che più temeva. Niente a che vedere con «quell’altro», l’ex titolare del fascicolo-Tarantini, il pm Giuseppe Scelsi, additato come responsabile delle 100mila conversazioni registrate «con l’unico scopo di colpire me».

L’umore resta nero, invece, per quanto riguarda i rapporti con la procura di Napoli. A palazzo Grazioli, con chi gli fa visita, il premier esplode: «Non c’entro nulla, e non ho la minima idea di cosa si dicessero quei due - Lavitola e Tarantini, accusati di estorsione ai suoi danni - quando parlavano alle mie spalle...». Il suo orientamento resta quello di non farsi interrogare, anche perché le «garanzie» richieste da Ghedini (quella di essere sentito in presenza del legale) è stata respinta al mittente («Può essere ascoltato solo come teste», hanno replicato i magistrati), così come la richiesta di spedire il fascicolo a Roma per competenza territoriale. A meno di nuove e decisive mediazioni tra procura e palazzo Chigi (l’ultimatum dei quattro giorni per presentarsi scade dopodomani), il caso potrebbe dunque arrivare in Parlamento, con la Giunta e l’Aula chiamata a pronunciarsi sull’accompagnamento coatto dinanzi ai pm.

Nei pensieri del Cavaliere c’è poi un sospetto che lo inquieta: che la procura di Napoli abbia messo il suo telefono «illegalmente» sotto controllo. L’unico ad azzardarlo pubblicamente è Osvaldo Napoli, che dopo aver sentito palazzo Chigi manda una nota alle agenzie: «Ma se Lavitola era in Bulgaria e ha comprato un’utenza lì per non farsi intercettare, come è uscita fuori la sua chiamata a Silvio del 24 agosto? Non è che stavano controllando senza autorizzazione della Camera il telefono del presidente del Consiglio?».

Lo scenario resta dunque da guerra fredda. E il Colle, tirato per la giacca da ogni direzione, segue con attenzione. Napolitano è il convitato di pietra dell’intera giornata: si parla di una sua "moral suasion" su Bari per evitare che fossero esposti alla gogna internazionale telefonate imbarazzanti per i rapporti diplomatici con i leader stranieri, ma dal Quirinale smentiscono con sdegno. Poi in ambienti Pdl filtra la voce di un suo nuovo, imminente faccia a faccia con Berlusconi, stavolta richiesto dal presidente della Repubblica, per mettere un punto alla crisi. Tesi apparentemente corroborata dal nuovo pressing del Pd perché «il Colle indichi un nuovo premier». Ma alla fine ogni ipotesi si ferma nel terreno confuso del "potrebbe accadere".

In ogni caso, che sull’inchiesta di Napoli e quella di Bari ci siano due registri diversi è evidente anche dalle reazioni del Pdl. Nessuno dei colonnelli mette all’indice i pm pugliesi. Mentre per la terza volta in pochi giorni gli "avvocati azzurri" chiedono al Guardasigilli Nitto Palma, con un’interrogazione in Aula, di inviare ispettori nella procura partenopea. E nuovi pesanti affondi sulle «intercettazioni illegali» si attendono per oggi. Su Bnl-Unipol, invece, dall’entourage del premier esce una mezza speranza: «Sarà un boomerang per loro», ovvero per il Pd, che così vedrebbe di nuovo messi al centro della scena «i suoi affari, mentre io sarò assolto senza dubbi».

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