lunedì 3 febbraio 2014
Un centinaio di bengalesi a Sant'Antimo (Napoli) propone il riconoscimento di «riduzione in schiavitù». La denuncia: datori di lavoro «padroni» li privano del passaporto e li costringono a orari massacranti.
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Chiedono lo status di «schiavi» per sfuggire al ricatto dei loro «padroni», i datori di lavoro di Sant'Antimo (Napoli) che sottraendo loro i passaporti li costringono a lavorare fino a 14 ore al giorno senza riposo settimanale con una paga, quando raramente corrisposta, che non arriva a 250 euro al mese. È la paradossale e disperata richiesta di aiuto, raccolta dall'associazione per la difesa dei diritti degli immigrati "3 Febbraio", delle centinaia di cittadini bengalesi, molti dei quali clandestini, da anni utilizzati nelle fabbriche tessili di Sant'Antimo e di altri comuni vicini a nord di Napoli. "Denunceremo per riduzione in schiavitù - si legge in un comunicato dell'associazione - gli imprenditori italiani e bengalesi chiedendo al prefetto che siano concessi a tutti i firmatari i permessi di soggiorno per motivi umanitari così come previsto dall'ex articolo 18 della legge 40 sull'immigrazione". Ieri, per la prima volta, i bengalesi di Sant'Antimo si sono riuniti in assemblea in una sala della parrocchia del paese. "È stata l'occasione per molti di loro di uscire coraggiosamente dall'anonimato - spiega Gianluca Petruzzo di 3F - e le storie di sfruttamento e di violenza che hanno raccontato non sono certo degne di un Paese civile. Ribadiremo il nostro no al nuovo schiavismo il prossimo 21 febbraio nella piazza di Sant'Antimo in occasione della festa della lingua del Bangladesh".La comunità di Sant'Antimo non è nuova a gesti emblematici della comunità immigrata. Cinque anni fa nelle strade del piccolo centro della provincia di Napoli si erano riversati oltre 500 immigrati, sfilando contro il razzismo.

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