Sì, sì. No, no. Gutenberg alle radici dell'idea di consenso

Cosa significa concretamente il termine “consenso”? La risposta chiama in causa la cultura, l’educazione, il tempo lento della formazione della propria identità
December 18, 2025
Sì, sì. No, no. Gutenberg alle radici dell'idea di consenso
La copertina di Gutenberg n. 54, 19 dicembre 2025
Non è parola poetica, consenso. Assomiglia, piuttosto, a una moneta consumata dall’uso quotidiano: la tiriamo fuori all’occorrenza (senza darle troppa importanza) per acquistare televisori o lavatrici, accedere agli esami diagnostici, abbonarci a piattaforme e iscriverci ai social network, ricevere la spesa a domicilio. Stupisce, allora, che sia tornata al centro del dibattito pubblico nelle ultime settimane, complice l’urgenza bipartisan avvertita dal nostro Parlamento in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne di metterla al centro di una legge pronta a ridefinire il perimetro dello stupro. Ribadendo un principio tanto semplice quanto esigente: senza un “sì”, non c’è relazione legittima, non c’è incontro, insomma, non c’è diritto che tenga. Consenso, dunque. Ma siamo sicuri di poterlo ridurre solo a una formula giuridica o normativa? Dire di sì a ben vedere è sempre il punto di arrivo di un percorso individuale integrale che presuppone conoscenza di sé (del proprio corpo e della propria persona), consapevolezza dell’altro, capacità di comprendere ciò a cui si sta aderendo. Ed è proprio questo percorso che oggi sembra erodersi, schiacciato dalla velocità dell’automatismo e dalla semplificazione. Lo vediamo nello spazio digitale, dove il consenso viene chiesto — e ottenuto — con un clic: accettiamo condizioni che non leggiamo, regaliamo dati che ci definiscono, rinunciamo a pezzi di privacy come fossero scarti senza valore. Qui il “sì” non è frutto di una decisione, ma di una stanchezza: l’iperstimolazione e il conseguente affaticamento cognitivo diventano il terreno su cui prospera un consenso svuotato, formale, spesso inconsapevole. Lo stesso accade nei rapporti con il potere, che ha imparato a non imporsi frontalmente ma a sedurre, a blandire, a rendere desiderabile ciò che chiede. È un consenso ottenuto in modo meno brutale, ma non per questo meno paternalistico: non nasce da una reale possibilità di scelta, bensì da un contesto che ci illude d’essere liberi e autonomi, per poi addomesticarci. Eppure esiste un’altra genealogia del consenso, più antica e più esigente. Nella tradizione cristiana, il grande “sì” di Maria non è un atto impulsivo né un’obbedienza cieca: è una risposta che arriva dopo un turbamento e un confronto. È un consenso che implica responsabilità, rischio, esposizione. Su quel “sì”, fragile e potentissimo, si fonda l’idea stessa di una relazione tra Dio e gli uomini che non passa per la costrizione, ma per la libertà. All’opposto, la storia e le storie del dissenso ci ricordano che saper dire “no” è parte integrante della stessa educazione al “sì”. Non c’è consenso autentico senza la possibilità reale del rifiuto; non c’è adesione libera senza la competenza del dissenso. La domanda che attraversa queste pagine allora non è solo che cosa sia il consenso, ma che cosa serva per poterlo dare davvero. La risposta non è immediata: chiama in causa la cultura, l’educazione, il tempo lento della formazione della propria identità. In un’epoca che accelera tutto, anche i nostri “sì”, tornare a prendersi il tempo per comprenderli potrebbe essere il gesto più radicale – e più necessario – che ci resta.
Il 19 dicembre Gutenberg risale alle radici dell'idea di consenso: l'inserto culturale di Avvenire, illustrato con le opere di Nicole L. esposte al Museion di Bolzano, approfondisce il dibattito politico-culturale attorno al "consenso libero e attuale" con Antonella Mariani; amplia poi lo sguardo alle implicazioni che la parola può assumere - e ha assunto - nella storia con il linguista Raffaele Simone e nell'attuale contesto digitale con l'informatico Vincenzo Ambriola; Andrea Lavazza propone un approfondimento di taglio filosofico, mentre Rossana Virgili si sofferma sul "sì" di Maria, modello di ogni consenso libero. Ma Gutenberg dà spazio anche al contraltare necessario del consenso, il dissenso: e lo fa con la voce della violoncellista dissidente russa Maya Fridman, raccolta da Giacomo Gambassi, e con il richiamo al classico racconto di Melville Bartebly lo scrivano, del quale Eugenio Giannetta ricorda il celebre "preferirei di no".
La sezione Percorsi si apre con l'anticipazione della prefazione di Elena Beccalli, rettrice dell'Università Cattolica, al nuovo libro di Raul Gabriel dedicato alle complesse intersezioni tra la nostra vita e l'universo digitale (tema che sarà anche al centro di una nuova rubrica sperimentale, Chatpoint Charlie, che sarà pubblicata da Avvenire a partire dal 14 gennaio); un secondo percorso esplora poi la religiosità nella letteratura francese del Novecento, protagonista di una ricognizione di Giuliano Vigini presentata da Roberto Carnero, soffermandosi in particolare con Roberto Righetto sulla figura di Albert Camus. Spazio quindi alla persistenza dell'eredità greca nella nostra cultura, dall'influenza di Platone sulla scuola filosofica di Tubinga, analizzata da Thomas Szlezák e presentata da Gianni Santamaria, alla tragedia di Sofocle, con la nuova traduzione delle Trachinie riletta da Alessandro Zaccuri. E, infine, un percorso d'acqua, elemento di vita ma anche di unificazione tra i popoli attraverso i fiumi e i mari: è la protagonista del nuovo libro di Elena Granata e Andrea Granelli, anticipato da Gutenberg.

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