sabato 17 agosto 2013
​Cresce l’insofferenza per il degrado in cui vivono le comunità nomadi (3mila persone) e c’è chi chiede che vengano mandate via. La preoccupazione maggiore riguarda il proliferare di attività illecite. ​Di giorno rovistano in cassonetti e sacchi. La notte setacciano il materiale scaricato dai camion-ombra e buttano i resti nelle stufe. Roghi di scarti tossici infettano le periferie. Ma ferro e alluminio valgono 12 milioni.
​​​​​​​​Denunce inascoltate da Scampia
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Serpeggia, palpabile, benché ancora sotterraneo, lo scontento contro i campi nomadi intorno a Napoli. Voci arrabbiate alcune, preoccupate al­tre che sempre più spesso si levano contro il degra­do degli insediamenti rom, senza servizi, senza ac­qua, senza elettricità e assediati dalla spazzatura, che si accumula, brucia, avvelena.
La denuncia di padre Domenico Pizzuti, gesuita a Scampìa, è una delle tan­te. Cui hanno fatto eco da una parte l’assicurazione di un intervento di risanamento da parte del Comu­ne e dall’altra la drastica richiesta di smantellare il campo. Atteggiamenti contrastanti che però non tengono conto di un altro fatto: il popolo rom vive di spazza­tura. Non importa dove si trovino, se nei campi del­le periferie napoletane o nelle aree provinciali anche del Ca­sertano, di fatto costituiscono la manovalanza preferita del si­stema illegale dello smaltimen­to dei rifiuti industriali e peri­colosi. E al tempo stesso le pri­me vittime. Sono innanzitutto i protagoni­sti del grande riutilizzo, perché in grado di recuperare fino al 90% dei rifiuti sulle strade di Poggioreale, Gianturco, Ponticelli, Scampìa. Luoghi non isolati, al centro di quartieri vasti e popolosi, prospicienti snodi viari im­portanti.
Qui la spazzatura che si ammassa e brucia è una costante. E se il sabato e la domenica le donne più anziane del­la comunità espongono in vendita su grigi teli lo scar­to altrui in mercatini dell’usato più o meno improv­visati, ogni giorno giovani rom o intere famigliole ­gli arrivi più recenti sono dalla Romania e dalla Bul­garia - organizzati per gruppi e divisi per zone, van­no in giro a rovistare. Stracciano i sacchetti della differenziata, frugano nei cassonetti con un’asta o un ba­stone uncinati e poi ammucchiano la merce su car­rozzini sgangherati e vecchi Ape. Alla fine Il materia­le ferroso e l’alluminio (lattine) raccolti in modo au­tonomo e illegale ammonta al 95%. E il valore sti­mato va dai 5 ai 12 milioni di euro all’anno.
Di notte invece attorno ai campi rom sono i camion a scaricare i rifiuti: pneumatici, carcasse di automo­bili, elettrodomestici e ingombranti vari, polveri e ce­menti provenienti da cantieri edili, legname, plasti­ca, indifferenziato, o altro materiale originariamen­te già prodotto in regime di e­vasione fiscale. Terminali di u­no smaltimento illegale da cui i rom traggono altro materiale da rivendere e il combustibile (tos­sico) per alimentare le stufe do­mestiche. Quel che resta si bru­cia dietro compenso e i rom non ne fanno mistero anche se il fumo nero e denso avvelena i loror pomoni.
Da più parti giungono proposte razionali di avviare l’attesa costituzione di cooperative per il recupero dei materiali di scarto di cui facciano parte rom e di­soccupati napoletani. Si darebbe soluzione a pro­blemi complessi, anche sotto l’aspetto sanitario, so­ciale, economico, di ordine pubblico. Se lo Stato non riuscisse a sanare una condizione di pericolo e di il­legalità, sarebbe la camorra, su pressione di qualche cittadino, a garantire ordine e sicurezza. Come qual­che anno fa con la distruzione del campo rom di Pon­ticelli.
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