giovedì 5 settembre 2019
Parla il padre del 17enne ucciso per errore, nel 2015, da una stesa di camorra. «Il suo omicidio ha scosso le coscienze ma servono più insegnanti e assistenti sociali contro la dispersione scolastica
«Dopo la morte di Genny qualcosa è cambiato»
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Sono 37 i minori ammazzati dalla camorra in Campania. Vittime innocenti di una guerra che si combatte da decenni nelle strade di Napoli e della regione. Tra loro avrebbe potuto esserci anche Noemi, di soli quattro anni, colpita il 3 maggio scorso da un proiettile mentre passeggiava con la mamma e con la nonna. La piccola si trovò coinvolta in un agguato ai danni di un affiliato di un clan napoletano. Dopo aver lottato fra la vita e la morte, Noemi si è salvata.

Non è stato così per Genny Cesarano: aveva solo 17 anni quando fu ammazzato nel rione Sanità da giovani camorristi di poco più grandi di lui, che stavano compiendo una "stesa". Così sono chiamati i raid armati dei clan napoletani nel corso dei quali vengono sparate pallottole all’impazzata al fine di intimidire gli avversari e affermare il proprio dominio sul territorio. Era la notte fra il 5 e il 6 settembre del 2015.

Domani il rione Sanità commemorerà per la quarta volta il giovane caduto sotto i colpi dei clan. A maggio, un mese dopo la visita del Capo dello Stato nel quartiere, il padre di Genny, Antonio, ha presentato con don Luigi Ciotti l’associazione nata nel nome del figlio: "Un popolo in cammino per Genny vive". «La nostra associazione persegue un semplice obiettivo: combattere la dispersione scolastica – dice il signor Antonio –. La scuola è l’unica risposta alla devianza giovanile, alla violenza, alla camorra. Tanti ragazzi nel quartiere abbandonano presto la scuola. Non conoscono le regole, non ricevono un’educazione e finiscono nella rete della camorra, che offre facili guadagni».

Nella piazza nella quale fu ammazzato Genny ora sorge un monumento alla sua memoria. Ma la tragedia di quattro anni fa sembra non aver insegnato nulla. Dopo l’uccisione di Genny, altri tre giovani innocenti sono stati ammazzati dai clan: Maikol Giuseppe Russo, Vincenzo Amendola e Ciro Colonna. E nella notte fra il 18 e il 19 luglio, proprio nella piazza in cui fu ammazzato Genny, è andata in scena un’altra "stesa". Sempre lì, la settimana scorsa, un 17enne è stato ferito nel corso di una rissa fra due bande di giovani.

«Purtroppo, nel nostro rione e in città, la violenza non si è fermata. Solo qualche mese fa abbiamo portato in ospedale una bambina di quattro anni con una pallottola nei polmoni… Ma dopo la morte di Genny qualcosa è cambiato. L’assassinio di un 17enne ha scosso le coscienze di tante persone che si sono messe in marcia contro i clan come non succedeva da tempo. Dobbiamo continuare a tenere la testa alta».

Al primo posto nella lotta alla camorra il signor Antonio mette la scuola. Ma accanto agli insegnanti occorre un esercito di assistenti sociali che a Napoli in questo momento non c’è. «Trovo sconcertante che ci siano solo tre-quattro assistenti sociali per un quartiere così difficile, che supera i centomila abitanti ed è una città nella città. Ci vogliono assistenti sociali, insegnanti, anche vigili: ci vuole lo Stato».

Il padre di Genny è però particolarmente grato a Sergio Mattarella per il significato della sua recente visita nel rione. «Lo avevo incontrato già precedentemente. Il presidente sa cosa significa avere in famiglia una vittima innocente della mafia. La sua visita è stato un segnale importantissimo per me e per tutto il quartiere. È stato come dire: "Noi ci siamo, lo Stato è con voi"». Ora ha lasciato il suo lavoro e si dedica completamente all’associazione nata nel nome del figlio. «È dura svegliarsi ogni mattina sapendo di vivere senza Genny, ma trovo conforto in questo impegno. Voglio che a nessuno più accada quello che è accaduto a noi».

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