mercoledì 10 dicembre 2014
​Sequestrati beni per oltre 30 milioni di euro. Le cosche calabresi si erano infiltrate nel tessuto economico della Regione.
Massoni e boss, l'alleanza indicibile
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​«Domani mattina passi un guaio...  Te l’ammazzo a tuo figlio...». Era una delle agghiaccianti minacce rivolte dai presunti componenti di una ’ndrina calabrese che erano riusciti a insediarsi, dal 2008, fra le verdi colline dell’Umbria. E le vittime di estorsione, in questo caso un meccanico al quale fra il 2008 e il 2012 avevano spillato oltre 40mila euro fra contanti e riparazioni non pagate, precipitavano nella disperazione: «Sono dissanguato. A me hai rovinato la famiglia. Sono distrutto...». Da ieri mattina, quella rete è stata disarticolata dall’operazione «Quarto passo» della Dda di Perugia e del Ros dei Carabinieri, che hanno arrestato 54 persone (46 in carcere, 8 ai domiciliari) nel capoluogo umbro e in altre 11 province (da Crotone e Cosenza fino a Roma, Siena, Bologna e Varese) e in Germania. In manette, spiega il pubblico ministero perugino Antonella Duchini, sono finiti presunti appartenenti a un gruppo collegato alla cosca calabrese Farao Marincola di Cirò Marina e capeggiato dal pregiudicato Natalino Paletta. In gran parte calabresi, ma anche albanesi ed egiziani coi quali stringevano accordi. Per altre 7 persone è scattato l’obbligo di dimora e sono stati disposti i sequestri di beni per un valore di oltre 30 milioni di euro: «39 imprese, 106 immobili, 129 autoveicoli, 28 contratti assicurativi e 300 rapporti bancari e di credito».L’Umbria, avverte il Gip di Perugia Alberto Avenoso nell’ordinanza di custodia, è «un territorio a torto ancora ritenuto da taluni "isola felice" ed invece in via di progressiva mafizzazione». L’indagine, osserva il comandante del Ros Mario Parente, «conferma la capacità della ’ndrangheta di infiltrarsi in territori diversi dalla Calabria, riproponendo modelli mafiosi  anche in una regione come l’Umbria, che nell’immaginario collettivo è immune da questi fenomeni». Non è la prima volta: già nel 2008, l’operazione «Naos» dei Carabinieri aveva svelato inquietanti presenze ’ndranghetiste e camorriste, portando a una cinquantina d’arresti.Stavolta gli indagati avevano messo in piedi diverse attività criminali: dai furti di materiale edile, fino al traffico di cocaina e a un giro di estorsioni gestito, scrive il Gip, con «un potere spregiudicato e violento». Non solo: «I considerevoli proventi illeciti» venivano «reimpiegati per acquistare beni immobili ed attività commerciali nel settore dell’intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome». Gli ’ndranghetisti vessavano diversi imprenditori, estorcendo fatture per dissimulare pagamenti illeciti e perfino la cessione delle proprie imprese agli indagati che, in qualche caso, le svuotavano provocandone la bancarotta fraudolenta. Ma l’Umbria non è Roma né certe zone ioniche o aspromontane, osservano gli inquirenti. E, per usare la metafora del presidente della Regione Catiuscia Marini, gli umbri hanno fatto ricorso ai propri «anticorpi». Nella terra di San Francesco e Jacopone, spiega il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, c’è ancora «un tessuto socio-economico sano. Le vittime, quando hanno capito che l’indagine era seria, hanno parlato tutte. Un buon segnale per altre regioni». Collaborare «subito con la giustizia, denunciare – insiste Roberti – è fondamentale». E la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi conclude: «È necessario rafforzare la capacità di stroncare le mafie sul nascere. L’Italia ripartirà solo se sapremo fare argine all’illegalità».

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