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«Mia figlia è morta, la mia vita è finita all'1.45» dice Dean. Dopo la morte di Indi «io e mia moglie Clare siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna. Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella sua casa. Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima» continua. «Sapevo che era speciale dal giorno in cui è nata, hanno cercato di sbarazzarsi di lei senza che nessuno lo sapesse ma io e Clare ci siamo assicurati che sarebbe stata ricordata per sempre».
«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, tutto il possibile. Purtroppo non è bastato. Buon viaggio piccola Indi» le parole, affidate ai social, della premier Giorgia Meloni.
La cittadinanza italiana e l'ultimo viaggio
Indi, nata il 24 febbraio scorso, non era mai uscita prima dal Queen’s Medical Center di Nottingham, l’ospedale in cui era ricoverata sin dalla nascita. Il viaggio di 40 minuti verso l’hospice è stato il suo primo e ultimo. Avvenuto a bordo di un’ambulanza scortata dalla polizia. «È stata bravissima, neppure uno strillo – aveva commentato papà Dean poco prima che morisse – sono certo che avremmo potuto affrontare anche il viaggio in Italia». La speranza di portare la piccola al Bambino Gesù di Roma, che si era offerto di prenderla in carico, non era in fondo mai svanita. Nonostante i ripetuti “no” dei giudici britannici convinti che “il miglior interesse” della bambina fosse solo la sospensione dei trattamenti. Lunedì, lo ricordiamo, il Consiglio dei ministri di Giorgia Meloni aveva concesso a Indi la cittadinanza italiana. Due giorni dopo, il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, diventato automaticamente suo giudice tutelare, ha avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. Venerdì, mentre la Corte d’Appello valutava l’ultimo ricorso presentato dalla famiglia, la premier Meloni scriveva al Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, chiedendogli ufficialmente di collaborare per facilitare il trasferimento della bambina in Italia ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Non c’è stato nulla da fare. I togati di Sua Maestà, anzi, sono apparsi quasi irritati l’attivismo amministrativo, diplomatico e politico con cui l’Italia ha cercato di ribaltare l’esito del caso.