lunedì 13 novembre 2023
Nelle prime ore di stamattina l'ultimo respiro. I genitori: «Siamo arrabbiati e affranti»
undefined

undefined - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI
Addio Indi Gregory. È morta la bimba inglese affetta da una rarissima malattia mitocondriale e condannata dall’Alta Corte di Londra alla sospensione dei trattamenti vitali. La piccola, 8 mesi, è spirata in un hospice per malati terminali del Derbyshire, dove era stata trasferita sabato in mattinata, qualche ore dopo lo spegnimento del ventilatore meccanico che l’aiutava a respirare. Papà Dean, 37 anni, e mamma Claire, 35 anni, speravano che la figlioletta, fornita solo di una maschera per l’ossigeno, sarebbe rimasta in vita ancora qualche ora, e così è stato.

«Mia figlia è morta, la mia vita è finita all'1.45» dice Dean. Dopo la morte di Indi «io e mia moglie Clare siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna. Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella sua casa. Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima» continua. «Sapevo che era speciale dal giorno in cui è nata, hanno cercato di sbarazzarsi di lei senza che nessuno lo sapesse ma io e Clare ci siamo assicurati che sarebbe stata ricordata per sempre».

È il triste finale di una storia drammatica su cui si è espresso anche Papa Francesco. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha fatto sapere che il Pontefice «si stringeva alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, pregava per loro e per lei, e rivolgeva il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra». Messaggio arrivato dritto al cuore del padre della bambina, Dean Gregory, che ha risposto: «Io, Claire e Indi siamo molto grati e onorati di sentire queste bellissime parole di Papa Francesco, lo ringraziamo tanto».


«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, tutto il possibile. Purtroppo non è bastato. Buon viaggio piccola Indi» le parole, affidate ai social, della premier Giorgia Meloni.

La cittadinanza italiana e l'ultimo viaggio

Indi, nata il 24 febbraio scorso, non era mai uscita prima dal Queen’s Medical Center di Nottingham, l’ospedale in cui era ricoverata sin dalla nascita. Il viaggio di 40 minuti verso l’hospice è stato il suo primo e ultimo. Avvenuto a bordo di un’ambulanza scortata dalla polizia. «È stata bravissima, neppure uno strillo – aveva commentato papà Dean poco prima che morisse – sono certo che avremmo potuto affrontare anche il viaggio in Italia». La speranza di portare la piccola al Bambino Gesù di Roma, che si era offerto di prenderla in carico, non era in fondo mai svanita. Nonostante i ripetuti “no” dei giudici britannici convinti che “il miglior interesse” della bambina fosse solo la sospensione dei trattamenti. Lunedì, lo ricordiamo, il Consiglio dei ministri di Giorgia Meloni aveva concesso a Indi la cittadinanza italiana. Due giorni dopo, il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, diventato automaticamente suo giudice tutelare, ha avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. Venerdì, mentre la Corte d’Appello valutava l’ultimo ricorso presentato dalla famiglia, la premier Meloni scriveva al Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, chiedendogli ufficialmente di collaborare per facilitare il trasferimento della bambina in Italia ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Non c’è stato nulla da fare. I togati di Sua Maestà, anzi, sono apparsi quasi irritati l’attivismo amministrativo, diplomatico e politico con cui l’Italia ha cercato di ribaltare l’esito del caso.


Nel Regno Unito la storia della piccola “guerriera” dalle ciglia lunghe, quarta figlia femmina di Dean e Claire, è passata quasi inosservata. Il caso è molto simile a quello di alti minori gravemente disabili o ammalati a cui il tribunale, incalzato dalle direzioni sanitarie degli ospedali pubblici, ha deciso di staccare la spina contro la volontà delle famiglie. Charlie Gard, Alfie Evans, Archie Battersbee e Isaiah Haastrup sono solo alcuni dei casi più famosi. Secondo l’associazione Christian Concern il caso amplifica l’urgenza di una riforma sul fine vita che introduca nell’ordinamento un approccio più compassionevole a casi in odore di eutanasia come questo. Le autorità paiono fare orecchi da mercante. L’opinione pubblica è distratta. Quello che ci si chiede adesso è: “Chi sarà il prossimo?”



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI