venerdì 22 maggio 2009
Il primo caso di Bse fu identificato in Gran Bretagna nel 1986. Solo nell’88 le autorità decisero di vietare i mangimi di origine animale, sospettati di trasmettere il prione alle mandrie. L’allarme per un legame con la variante umana scattò invece nel 1996. A quel punto tutta l’Europa reagì vietando l’importazione di carne dall’isola Nei giorni della paura per l’influenza suina che in Messico e altre nazioni ha fatto chiudere le scuole e abbattere migliaia di capi, si cerca un modello di sorveglianza ad alta efficacia Oggi la filiera inglese è rigorosissima. Negli ultimi anni, su un milione di test, individuati 35 casi sospetti, solo 4 per prodotti da commercializzare. Un investimento di 4 miliardi di sterline, che ha permesso di superare il bando Ue
COMMENTA E CONDIVIDI
È l’ora del tè e la pioggia, altrimenti non sarebbe Londra, liscia i mattoni scuri di un anonimo palazzotto vittoriano: il Defra si trova a qualche isolato dal numero dieci di Downing Street e gli assomiglia parecchio, il che conferma quanto gli inglesi, a un certo livello, preferiscano l’old style. Il Defra è il dipartimento agricolo del Regno Unito. Qui dentro è maturata la ' rivoluzione' che ha portato il Paese fuori dall’emergenza della mucca pazza. «Grazie agli abbattimenti degli animali infetti avvenuti negli anni scorsi e ai test rapidi, il nostro prodotto è sicuro al 99,99% » , afferma il consigliere Patrick Burke e poi spiega che di quello zero­virgola- zero non bisogna preoccuparsi. Del resto, chiudere il caso Bse è costato una montagna di sterline ( e di euro) e una ristrutturazione profonda della zootecnia di Sua Maestà. In Italia la crisi esplose nel marzo del 1996, ma erano dieci anni che il mondo scientifico sapeva, che i governi incrociavano le dita, che si sospettava un nesso tra chi contrae il morbo di Creutzfeld- Jacob e il consumo di carne bovina infetta da Bse. Dieci anni di ritardi che restano una colpa. I britannici hanno cercato di scontarla cambiando tutto: mangimi, allevamento macellazione, vendita... Il loro governo pagò colossali indennizzi agli esportatori che distrussero tonnellate di mezzene. Il beef restò al bando in Europa per molti mesi e alla T- bone steak andò anche peggio, visto che solo nel marzo del 2006 fu tolto l’embargo sulla carne con l’osso. Il primo caso di Bse fu identificato in Gran Bretagna nel 1986. Nell’ 88 Londra decise di vietare i mangimi di origine animale, sospettati di trasmettere il prione alle mandrie. Dall’ 89 il governo bandì dal commercio tutte le parti della carcassa ' indiziate' di veicolare il morbo fino al consumatore: colonna vertebrale e sistema nervoso centrale. « Erano solo precauzioni, perché non avevamo ancora alcuna certezza circa il legame tra la mucca pazza e la variante umana; tutti concordammo sul rischio che fosse così solo nel 1996 e in quell’anno tutta l’Europa reagì al problema vietando l’importazione di carne britannica. Da allora, noi inglesi abbiamo realizzato un sistema di sicurezza di altissima precisione e dal maggio scorso alla nostra carne è stato riconosciuto lo status di rischio controllato, lo stesso di cui gode il prodotto italiano » , sottolinea Burke. La Gran Bretagna oggi usa i test della Biorad: su quasi un milione di prove sono stati individuati negli ultimi anni 35 casi sospetti, solo 4 dei quali riguardavano animali nati dopo il ’ 96 e potenzialmente diretti alla commercializzazione. « I test avvengono su tutti i capi che abbiano più di 48 mesi, e da tutti gli animali macellati, quale che sia la loro età, sono tolte tutte le parti a rischio» , spiega Burke. Un programma di tracciabilità permette di risalire all’allevamento di ogni capo eventualmente infetto e abbattere tutti gli animali allevati insieme a quest’ultimo. I capi abbattuti sono rimborsati al valore di mercato e questo programma è cofinanziato dalla Ue e approvato dalla Commissione europea. Secondo il Defra, le misure poste in essere fino al 2001, quelle cioè attuate per fronteggiare la fase acuta della crisi Bse, sono costate al contribuente britannico più di 4,4 miliardi di sterline, una cifra che si riduce a 3,9 miliardi se si considera il contributo europeo, che è stato di 500 milioni. A questi costi vanno aggiunti quelli sopportati dal settore zootecnico e dall’indotto: la sola decisione di escludere le proteine di origine animale è costata all’industria mangimistica dieci milioni di sterline l’anno, ma la perdita è ricaduta sui bilanci delle industrie della macellazione, che non possono più recuperare gli scarti di lavorazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: