mercoledì 13 febbraio 2019
Ora a La Stampa, aveva lavorato anche ad Avvenire. Ligure di nascita, autore di numerosi scoop legati alla cronaca giudiziaria, è stato trovato senza vita nella sua casa milanese
Emilio Randacio in una foto tratta dal suo profilo Facebook (tramite Ansa)

Emilio Randacio in una foto tratta dal suo profilo Facebook (tramite Ansa)

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«Il giornalista è sempre uno che dopo sapeva tutto prima». Si presentava così sul suo profilo twitter. In realtà Emilio Randacio era l’esatto contrario, lui che è stato autore di una infinita serie di scoop anticipando scandali politici e sviluppi investigativi. Un mastino, come si dice di quei reporter che non mollano mai la presa. Ma un malore, la scorsa notte, gli ha impedito di scrivere ancora, a pochi giorni dai suoi 50 anni.

Non c’è voluto molto ai colleghi de La Stampa per capire che qualcosa era accaduto. Da oltre vent’anni Randacio era tra i primi a battere i corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano fin dal mattino presto. Tranne oggi. Quando i vigili del fuoco hanno forzato l’ingresso della sua abitazione a Milano non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso.

Ligure di Albisola (Savona), da giovanissimo aveva iniziato con Indro Montanelli, che lo aveva portato con sé a La Voce, fino a quando il quotidiano non chiuse i battenti. Così nel 1996 Randacio approdò ad Avvenire, dove ha continuato a occuparsi di cronaca giudiziaria fino al dicembre 2006.

Poi il passaggio a Repubblica e, nel 2017, a La Stampa. Nel 2008, concludendo una delle sue inchieste giornalistiche più difficili e note, indagando sui servizi segreti italiani, aveva pubblicato il libro «Una vita da spia», un testo di riferimento per comprendere le luci e le ombre dell’intelligence. Mancherà ai suoi familiari, ma mancherà soprattutto al giornalismo vissuto senza padrini, né padroni e senza mai risparmiarsi.

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