giovedì 11 giugno 2020
A Milano la statua coperta di vernice un anno fa. Ora nuova richiesta di rimozione sull'onda del revisionismo globale. Il grande giornalista "comprò" una ragazzina in Etiopia. Le accuse e la difesa
Montanelli "predatore", "via quella statua". Chi ha ragione?
COMMENTA E CONDIVIDI

Era già nel mirino da tempo. Ma con il revisionismo mondiale di piazza, accesosi dopo i recenti casi di razzismo negli Usa, anche in Italia si è tornati a chiedere di "oscurare" il ricordo di Montanelli. Lo hanno fatto a Milano i Sentinelli, organizzazione antifascista, e l'Arci, chiedendo al sindaco di rimuovere il monumento al giornalista e di revocare l'intitolazione dei giardini dedicati al famoso giornalista. Molte le voci, a favore o contrarie.

L'anno scorso, un secchio di vernice rovesciato su una statua l’8 marzo aveva provocato una piccola onda mediatica e un utile dibattito pubblico (esclusi gli immancabili opposti estremismi da social media). Esponenti del movimento femminista “Non Una Di Meno”, durante la manifestazione di Milano, avevano colorato di rosa il monumento al giornalista e scrittore Indro Montanelli (1909-2001), nei giardini pubblici di Porta Venezia a lui intitolati nel 2002. Non era la prima volta che raid colpivano statua (posta nel 2006) e targa dedicati a una figura amata e anche controversa. Sotto accusa è il comportamento del giovane Indro, accusato non genericamente di maschilismo, ma specificamente di pedofilia e di stupro. E ciò che si diceva nel 2019 vale anche oggi.

Nel 1935, Montanelli fu volontario nella guerra coloniale di Eritrea voluta da Mussolini e durante il soggiorno africano comprò, letteralmente, dalla sua famiglia per 500 lire (o 350, il giornalista diede diverse ricostruzioni) una giovanissima “moglie” chiamata Destà – non vera consorte perché il contratto di cosiddetto madamato prevedeva una scadenza. La ragazzina aveva tra i 12 e i 14 anni, “un animalino docile”, nelle parole che oggi indignano usate da Montanelli in un’intervista televisiva del 1969. In un rapporto imposto e non certo paritario, la giovanissima fungeva essenzialmente da cameriera – portando la biancheria pulita ai combattenti – e da comprensibilmente riluttante compagna d’alcova. Poco dopo Montanelli tornò in Italia e un suo sottoposto gli chiese di poter sposare Destà. Lei ebbe un figlio e lo chiamò Indro. Si reincontrarono nel 1952, durante un viaggio in Etiopia del giornalista, che non spese mai parole di pentimento né di rammarico, ma raccontò più volte apertamente la vicenda, giustificandola con i tempi, le usanze e le circostanze.

Come interpretare i fatti

Fin qui i fatti, per quanto possibile oggettivi. Il movimento dell’8 marzo, cui si sono unite molte altre voci, rivendica il gesto contro il monumento e chiede la revoca dell’intitolazione dei Giardini a Montanelli. La gravità dell’episodio, ad avviso dei critici, sarebbe di limpida evidenza e tale da infangare la reputazione dell’uomo, al di là di possibili altri suoi meriti.

I difensori invece richiamano il fatto che tra lo scrittore e Destà non ci sarebbe stata violenza. La giovane “era considerata dalla sua gente matura per il matrimonio”. Inoltre, le “nozze” furono caldeggiate dal suo attendente etiope come mezzo per dare autorità al comandante sulle milizie locali, che quelle “unioni” consideravano del tutto normali. Inoltre, Destà, secondo il racconto dello stesso Montanelli, non serbò rancore; anzi, lo riaccolse anni dopo “come un padre”.

Difficile districarsi tra le interpretazioni e i racconti che non hanno altri testimoni attendibili. Sappiamo da attente e circostanziate ricostruzioni storiche condotte dopo la sua morte (si veda l’ampia biografia scritta da Sandro Gerbi e Raffaele Liucci) che lo storico non accademico di enorme successo quale fu a sua volta Montanelli abbellì a posteriori alcuni suoi snodi biografici per mettersi in luce positiva. Ne è prova in particolare la ricostruzione della sua fuga oltreconfine dal regime nazifascista nel 1944, indagata da Renata Broggini in “Passaggio in Svizzera”.

Resta la discussione innescata da quella vernice (poi lavata). È soltanto una forzatura nei tempi del #metoo, una provocazione senza giustificazioni, un attacco gratuito e anacronistico (di un gruppo comunque minoritario e non senza contraddizioni interne) a una grande figura della storia italiana recente? Oppure, si comincia a rompere la patina di maschilismo, a dire poco, che ha caratterizzato la celebrazione di personaggi il cui comportamento pare attualmente inaccettabile e che avrebbe impedito loro di proseguire le loro carriere se fossero vissuti oggi, come sta accadendo a tanti molestatori, veri o presunti, di questi giorni?

Chi può valutare Montanelli

Indro Montanelli nella sua vita è stato un aderente al fascismo, un cronista in prima linea fedele ai fatti e allergico alle verità di regime (dalla Guerra di Spagna alla Finlandia e all'Ungheria invase dai sovietici), un punto di riferimento della destra conservatrice e liberista, uno straordinario scrittore e giornalista, un nemico dei conformismi e del pensiero unico, un fustigatore di alcuni vizi nazionali, fondatore di giornali (per salvaguardare la propria indipendenza) e capace di spostare settori di opinione pubblica alle urne (il famoso “turiamoci il naso e votiamo Dc”). Venne gambizzato dalle Brigate Rosse nel 1977 (fatto che molti continuano a tacere). Amatissimo dal suo pubblico e fieramente avversato dalla sinistra, con un’ultima mossa a sorpresa lasciò Berlusconi che entrava in politica per diventare un involontario idolo di almeno una parte della sinistra (che lo applaudì al Festival dell’Unità, dove prima poteva essere al massimo il bersaglio del tiro a segno).

Chi lo conobbe non potrà negare che fu un uomo caratterizzato da qualche cinismo e da gelosie personali, e che quelle sue mai ripudiate esperienze coloniali facevano parte di una forma mentis consolidata, cui non avrebbe rinunciato nemmeno di frontealle argomentazioni più convincenti delle femministe di oggi. Era in qualche modo un figlio di altri tempi. Ma basta questo a giustificare l’“acquisto” di una ragazzina? Probabilmente no, non tutti si comportavano così. In ogni epoca si è trovato chi ha resistito a ciò che oggettivamente è male, anche se la maggioranza si adeguava alla tendenza del momento. E sono queste le persone che vorremmo vedere effigiate nelle statue che adornano le città.

La tentazione di riscrivere la storia

Tuttavia, un episodio di questo tipo può annullare, su un’ideale bilancia, tutto quello che di buono e pubblicamente rilevante si è compiuto in una lunga esistenza? Jean-Jacques Rousseau ha abbandonato i propri figli in orfanotrofio, ma non per questo sismette di guardare a lui e al suo pensiero come modelli della democrazia diretta e partecipativa. Si cominciano ad abbattere anche i monumenti a Cristoforo Colombo, un proto-colonialista agli occhi dei nativi americani, eppure egli resta lo “scopritore” del Nuovo Mondo. Alle mostre di Caravaggio si formano lunghissime code di visitatori: dovremmo impedirle per la vicenda biografica di un artista iracondo, giudicato colpevole di omicidio e per questo condannato a morte? Lo stesso vale per il geniale scultore Benvenuto Cellini (pluriassassino secondo le biografie): si dovrebbe rimuovere la targa commemorativa sulla sua casa natale a Firenze? E lo sapevate che negli Stati Uniti si comincia a sospettare che anche il celebre fisico anti-conformista Richard Feynman sia stato un predatore di donne, adepto del movimento del “rimorchio”, con la conseguente richiesta di smettere di farne un mito della scienza, malgrado i ragguardevoli risultati in quanto ricercatore insignito del Premio Nobel?

Forse per i personaggi lontani nel tempo le malefatte non appaiono più ferite aperte come è invece la discriminazione attiva delle donne, fenomeno ancora ben vivo nella nostra società. Ma che dire di sovrani, statisti e condottieri responsabili di carneficine ordinate a cuor leggero (e certo non paladini dei diritti femminili), ancora oggi protagonisti assoluti della toponomastica e delle piazze decorate con i loro monumenti equestri?

La soluzione sta nel mezzo

Una via mediana è forse quella di riconoscere che stiamo facendo un lungo, tortuoso e faticoso percorso verso il rispetto e la dignità di ogni essere umano. A ogni stadio vi è un numero maggiore di individui che raggiungono un grado sufficiente di consapevolezza e attenzione verso il loro prossimo, altri ne hanno un grado inferiore, ma non per questo sono mostri. I santi e gli eroi senza macchia sono sempre pochi, coloro nei quali sembra mancare ogni umanità non scompariranno. Salendo di stadio in stadio siamo in grado di giudicare con maggiore compiutezza ciò che si dovrebbe dare a ogni persona in termini di dignità e rispetto, uno sguardo che in precedenza non avevamo. Ma quello sguardo è il frutto di un cammino cui molti hanno dato un contributo, pur non essendo santi o esenti da altre colpe. Anche Indro Montanelli, che ha comprato una bambina africana come sposa durante la guerra coloniale, in seguito ha probabilmente portato un mattone a una società migliore con la sua attività giornalistica e culturale. Non tutti possono stare sullo stesso piano, certo, altri intellettuali della sua epoca possono essere ritenuti più grandi. Ma una rimozione della memoria collettiva non ci aiuta.

Ben venga allora un po’ di vernice rosa su una statua se può portarci a riflettere su come avanzare ulteriormente su quel percorso di miglioramento di noi stessi e della società. Senza pretese, però, di redenzione immediata dell’umanità. Invece che abbattere tutti i monumenti, svuotare i musei e le istituzioni che ci parlano del maschilismo di società patriarcali passate, pensiamo in positivo a celebrare anche figure femminili finora ignorare o neglette. In un prossimo 8 marzo sarebbe bello che un corteo potesse rendere omaggio a nuovi monumenti dedicati a quelle donne. Sarebbe il segno di un ulteriore passo sul lungo, tortuoso e faticoso cammino che stiamo compiendo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI