mercoledì 5 dicembre 2012
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«Io sostenevo che il conflitto di attribuzione non andasse drammatizzato. E pare che dramma non ci fosse. Perché la Corte con linearità ha risolto il contrasto, dando un’interpretazione di principi costituzionali e stabilendo a chi spetta fare che cosa». Il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli soppesa le poche righe del comunicato (a cui come da prassi seguirà il deposito delle motivazioni). Tira un sospiro di sollievo, sottolineando che «c’è un ordinamento che funziona in un apparente momento di crisi». E trae anche una valutazione dall’esito della vicenda. Essa «invita a un uso accorto e prudente dei poteri, anche da parte della magistratura. Posso dire che a questa soluzione ci potevano anche arrivare da soli».C’è stato un accoglimento su tutta la linea delle ragioni del Colle, dunque?Sembrerebbe di sì. Viene superata anche l’opinione della procura di Palermo di non avere strumenti per procedere alla distruzione, mentre viene indicata la via specifica. Vale a dire il divieto di utilizzazione come è disciplinato dal Codice di procedura penale, che è previsto in maniera molto chiara.È sorpreso dalla decisione della Consulta?Direi di no. In ipotesi, se avesse ritenuto che la legge non disciplinasse questo caso, e che vi fosse in tal modo una illegittimità, avrebbe potuto sollevare una questione di legittimità costituzionale. Ma era un’ipotesi molto remota.Su cosa si è basata per decidere?Due sono i punti che vengono indicati dalla Corte. Primo, la non valutabilità di tali intercettazioni ai fini della rilevanza nel processo. Il secondo la via dell’articolo 271 del Codice di procedura penale, che vieta l’uso di intercettazioni per i difensori e altre figure tenute al segreto professionale o in ragione del ministero. È molto chiara l’indicazione: esse vanno distrutte. Mentre c’era chi diceva che la procura non poteva autonomamente farlo. Poi, il percorso che era stato prefigurato era di portarle al gip con la procedura, diciamo così, ordinaria. Nella quale le parti ne prendono conoscenza e poi eventualmente se ne ordina l’accantonamento o la distruzione. Ma ciò avrebbe portato a una pubblicità.L’articolo 217, però, non riguarda il Capo dello Stato.L’intercettazione del presidente non può essere effettuata per una garanzia costituzionale che gli è riservata in ragione del suo ufficio. Non è un privilegio personale. C’è poi, come detto, una disciplina processuale su che cosa fare delle intercettazioni che la legge esclude possano essere effettuate. Disciplina processuale eventualmente applicabile con larghezza.L’avvocato della procura ha insisto sul carattere fortuito degli ascolti.Questo non è messo in dubbio. Sarebbe stato ben più grave, se il presidente fosse stato intercettato in maniera diretta. Il problema stava nel cosa fare dopo queste intercettazioni, sia pure occasionali. E la Corte ha fatto chiarezza.
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