domenica 5 dicembre 2010
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Il cartello giallo è perentorio: «Divieto di accesso. Oltrepassare questo limite provoca un intervento armato». Il filo spinato circonda alcune tende (una è quella del comando) e quattro shelter blindati, bene occultati, con altrettante postazioni radio. Si scorge una parabola, alimentata da due gruppi elettrogeni, e su tutto sventola il tricolore. Ogni tanto si sentono scoppi di bombe a mano, ma i soldati, impassibili, sono intenti a montare un ponte radio. Questa base potrebbe stare a Herat o a Kabul, invece sta in una radura, tra una palazzina e l’altra, della Cecchignola, la cittadella militare di Roma. È in uno spazio occupato dalla Scuola delle Trasmissioni comandata dal generale di brigata Pietro Primo. I giovani seguono attenti le istruzioni di un maresciallo che armeggia con un’antenna radio: sono volontari del progetto "Vivi le Forze Armate". La loro naja sarà breve: dura soltanto tre settimane. Hanno addirittura dovuto versare una cauzione, nel caso danneggiassero la divisa o altro materiale, per prestare questo servizio totalmente gratuito: un assaggio di vita militare. Scoprono un "mestiere delle armi" che vira però sempre più verso una funzione civile, di soccorso, di mantenimento della pace in Paesi in guerra.Gli istruttori spiegano a cosa serve tutto questo armamentario. Se stesse a Kabul, servirebbe ai nostri militari per tenersi  in contatto con l’Italia. Quella parabola farebbe da tramite per tutti gli ordini che venissero da Roma e consentirebbe ai nostri soldati, così lontani, di stare in contatto con le famiglie in Italia. Gli istruttori spiegano come è possibile e grazie a quali sofisticate tecnologie. Tra loro, il capitano Salvatore Coppola con l’esperienza di sei missioni all’estero alle quali fa spesso riferimento parlando con le giovani reclute: «È un modo – dice – per far toccare con mano l’utilità di un servizio che anche loro potranno scegliere se decidono, dopo queste tre settimane, di intraprendere la carriera militare».Ma servono a qualcosa queste tre settimane, a parte la curiosità e il gusto di assaggiare una vita diversa? Il capitano è testimone di una trasformazione sorprendente: «I primi giorni non si contano le facce tristi e le lacrime di nostalgia. Il tenore di vita è diverso da quello che hanno lasciato. Ma basta poco: scatta subito la responsabilizzazione. L’ultimo giorno, quando vanno via, un po’ sono cambiati».Qualcuno ritorna. Si rimette la divisa. Diventa Vfp1, che sta per Volontario in ferma prefissata per un anno, che è anche la condizione indispensabile per accedere ad altri corpi delle Forze Armate.Sveglia alle sei e mezza, la colazione con tutta la squadra, altro poco di tempo tutto per sé, poi l’alzabandiera con l’inno nazionale e quindi le lezioni.Dura la vita militare? Macché. Antonella Annese, 19 anni, da Orta Nova presso Foggia, sta montando e smontando un fucile Scp 70/90 con calcio pieghevole. «Sulla vita militare – dice – resistono luoghi comuni. Cose del passato. Certo, ci sono le regole. Il fatto è che noi giovani non siamo abituati ad averne tante. Non è facile, perché a molte cose non siamo abituati. Dormire ad esempio in stanze con persone che non si conoscono». La recluta Antonella frequenta l’ultimo anno della scuola per geometri. Ha chiesto al preside di assentarsi per tre settimane. Saranno considerate assenze, ma si è impegnate a non farne altre nel corso dell’anno. «E se non partissi anch’io...», e il preside le ha detto Vai!Su diciannove giovani che hanno scelto in questa tornata la Scuola Trasmissioni, ci sono ben dodici ragazze. Francesca Ciberna, 23 anni da Manziana vicino Roma, è tra loro. La divisa è una tradizione di famiglia: il papà ufficiale in Marina, il nonno nell’Esercito. «Parola mia: – assicura – papà non ha fatto nessuna pressione. Però non si è opposto quando ho deciso di fare questa esperienza». È figlia unica. Se non ci pensa lei, la tradizione finisce: farà il corso Vfp1, poi la Marina o forse la Guardia di Finanza. Tra gli istruttori anche una donna, il caporale Maria Assunta Palladino di Vallo della Lucania in provincia di Salerno, che comanda la squadra. Questo è il suo primo comando: «Mi sono messa in gioco – dice – e cercherò di far sentire questi ragazzi a loro agio, pronta a risolvere anche i loro piccoli problemi». Un caporale per amico? L’esercito è anche questo.Oltre un terrapieno si sente ancora sparare. Ma la giornata sta per finire: l’ammainabandiera, poi la cena, una telefonata a casa. Quindi il Silenzio, e alle undici il contrappello. Domani è un altro giorno. E anche un’altra levataccia!
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