martedì 28 febbraio 2023
Ci sono 500-700 persone (e un bagno chimico per tutti) per 130 posti al giorno, con precedenza ad anziani, bambini e minori. La fila con famiglie si riempie subito
Il momento in cui, intorno all'una, la polizia ha aperto un varco per scegliere le persone da far entrare, e si è formata la ressa

Il momento in cui, intorno all'una, la polizia ha aperto un varco per scegliere le persone da far entrare, e si è formata la ressa - Fotogramma

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In via Cagni a Milano non si fa la coda di notte per presentare la richiesta del permesso di asilo. Si fanno tante code nella speranza di entrare nella fila giusta, quella che all’alba del giorno dopo aprirà le porte alla sede distaccata dell’ufficio Immigrazione, nella caserma Annarumma. Ci si mette in coda per lingua (araba) e nazionalità - egiziani, maghrebini da una parte - , sudamericani di lingua spagnola dall’altra, altre lingue nel mezzo. Le code preliminari, che si formano il giorno prima, corrispondono alle zone occupate nei giardinetti di via Cagni e l’occupazione non è una faccenda di ore o notti, ma di giorni interi e di settimane.

«Sono qui da lunedì scorso – dice Victor, venezuelano 37 enne, al quarto tentativo di presentare la richiesta di asilo in altrettante settimane –. Dormo qui. Niente tenda. Qui, sotto gli alberi, se piove sotto il camion (indica il rimorchio parcheggiato nella via)». L’area verde non ha un filo d’erba, è tutta calpestata, ridotta in terriccio che con la pioggia è poltiglia. C’è ancora una tenda con i bagliori di un fornello acceso, ma è l’ultima rimasta: fino a poco prima c’erano persone in cerchio intorno ai falò accesi, la mattina i sacchi a pelo erano stati stesi sui fili a gocciolare. Ma adesso l’accampamento è tolto, i fuochi che punteggiavano l’area antistante spenti come quelli di un esercito d’altri tempi che sta per muoversi. Le loro cose sono state raccolte nei sacchi della spesa, nei trolley e nei borsoni blu dell’Ikea.

I falò accesi durante la notte per riscaldarsi

I falò accesi durante la notte per riscaldarsi - Fotogramma

Tutta quell’attesa si riversa sull’ultima fila, quella ufficiale, quella vera, che si formerà quando gli agenti del reparto Mobile apriranno i varchi e faranno passare i selezionati, e là sarà l’ultima fatica, finalmente. Anche se è l’una di notte e bisognerà stare lì a aspettare fino al mattino l’apertura degli uffici, perlomeno allora si avrà la certezza che l’attesa servirà a qualcosa. Tutti qui sanno qual è la fila giusta, meglio degli altri lo sa chi è al secondo, terzo, quarto tentativo (ogni tentativo una settimana): è quella che costeggia il muro di cinta della struttura. Una cinquantina di metri di lunghezza per 130 persone, che è il numero di richieste da vagliare su cui si stabilizzata la questura di Milano nelle ultime settimane. I poliziotti sanno che è inutile e controproducente tirarla per le lunghe, meglio anzi anticipare i tempi della pre-selezione per evitare che l’atmosfera si surriscaldi: all’una di notte gli agenti del reparto Mobile aprono le transenne al gruppo degli egiziani davanti, che provano a forzare, come ogni settimana: spintoni, urla, mani alzate a mostrare i documenti e gli agenti che fanno blocco con gli scudi per far passare famiglie con i bambini e anziani. Anche se nessuno si fa male la scena è caotica e la ressa che si forma è carica di tensione.

La settimana prima i poliziotti hanno dovuto chiamare il 118 per soccorrere una donna in gravidanza. Ma l’altra notte non è stata niente di eccezionale per via Cagni. Anzi, con la pioggia gelida c’erano circa 2-300 persone in meno delle altre settimane, come confermano i volontari del Naga, (l’associazione che fornisce assistenza legale e linguistica ai richiedenti), sul posto con una dozzina di volontari suddivisi per turni.

La fila delle persone in attesa

La fila delle persone in attesa - Fotogramma

Poi tocca al gruppo dei sudamericani (Venezuela El Salvador, Perù) entrare: qui le cose filano lisce. Si sono contati, hanno le loro liste, sanno chi è arrivato prima, hanno un servizio d’ordine e fanno un cordone per fermare infiltrati, esagitati e violenti. Probabilmente hanno anche una chat su whatsapp, anche se non lo vogliono dire perché temono che una graduatoria non ufficiale sia automaticamente qualcosa di illegale. Sono legalitari e pensano «che il casino degli arabi» non aiuti: «Fanno arrabbiare i poliziotti, che chiudono la coda». Il fatto è che semplicemente non conta se si è disciplinati, se si prova a saltare la fila con la forza, o se si ha una lista comune autogestita, così come non conta se si è qui da un’ora o da una settimana. Contano i numeri: 5-700 persone (e un bagno chimico per tutti), 130 posti, precedenza ad anziani, bambini e minori. E la fila con famiglie si riempie subito. Pochi minuti di rabbia, frustrazione, delusione o quiete ed è tutto finito. Su un lato della via la fila dei 130 volti distesi ed esausti di chi ce l’ha fatta (ce l’ha fatta a presentare la richiesta, che sarà esaminata da una commissione territoriale, che ecc.). Sull’altro i tre-quattrocento che sono fuori e “potranno” tornare la prossima settimana: stessa trafila, nessuna garanzia. Il profilo del rimbalzato è maschio, adulto, di qualsiasi nazionalità, e solo. Ma ieri ad esempio c’era anche una giovane coppia di Venezuelani, Viviana 28 e Louis 30.

I volontari del Naga confermano che a Milano i richiedenti arrivano anche indirizzati da altre questure, del Sud Italia, da Trieste, Gorizia, talvolta con fogli d’appuntamento senza valore. Ma perché andare avanti con un sistema simile, perché non organizzare gli ingressi con il sistema delle prenotazioni on-line? Qualche questura lo fa. «A Varese ho una cita (appuntamento) por dicembre». Del 2023. Dice ancora Victor Santillan, dopo essere stato rimbalzato per la quarta volta. I sudamericani si ricontano per l’indomani.

E poi? Si aspetta. Ancora. Nel lato fortunato di via Cagni che aprano gli uffici al mattino. Nell’altro lato della strada che apra la metropolitana. E il giorno dopo si ritorna qui, al punto di prima, e si ricomincia.

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