mercoledì 14 febbraio 2024
Ismu: sono oltre 872mila i ragazzi stranieri con background migratorio presenti in Italia, saliranno ancora. Blangiardo: norme pensate quando l’Italia non era un Paese di immigrazione
Studenti, italiani e stranieri, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano

Studenti, italiani e stranieri, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano - Ufficio stampa

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Sono nati o cresciuti in Italia. Qui studiano, giocano e parlano come tutti i loro coetanei. Man mano che crescono però si accorgono di non avere le stesse opportunità e di dover superare molti più ostacoli degli altri a causa di un semplice particolare: i loro genitori sono stranieri, un fattore che ancora oggi determina diseguaglianze tra i cittadini nati italiani e i cosiddetti cittadini di seconda e terza generazione. In un contesto in cui complessivamente le acquisizioni di cittadinanza sono salite nel 2022 (sono stati infatti 214mila gli stranieri divenuti italiani contro i 121.457 dell’anno precedente) la vera sfida resta quella di garantire lo stesso diritto, quello a diventare italiani, anche alle generazioni di giovani migranti nel limbo, tanto più che i migranti nati in Italia con cittadinanza non italiana sono oltre due terzi.

Questi spunti di riflessione, da cui si potrebbe partire quando si parla del tema della cittadinanza, sono solo alcuni di quelli emersi ieri alla presentazione del XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023, elaborato da Fondazione Ismu. «Il fatto che sia il 29esimo – ha spiegato Giovanni Azzone, presidente della Fondazione Cariplo al convegno – evidenzia che si tratta di un fenomeno strutturale e come tale va trattato. L’esito dipenderà da come viene interpretato e gestito».

Numeri in calo

Un dato colpisce più di tutti. Nonostante l’aumento dei flussi migratori, al primo gennaio 2023 gli stranieri presenti in Italia erano circa 55mila in meno rispetto alla stessa data del 2022, con una discesa a circa 5 milioni e 775mila unità. A prevalere infatti è stato l’effetto delle regolarizzazioni. Grazie alle nuove acquisizioni di cittadinanza, la popolazione irregolare è infatti diminuita, attestandosi sulle 458mila unità. Un segno positivo che denota come, nonostante alcune diseguaglianze permangano, il processo di integrazione sia finalmente partito.

Cosa succede tra i banchi

Torna a crescere invece il numero degli alunni con background migratorio nelle scuole italiane, pari al 10,6% del totale degli iscritti. Nell’anno scolastico 2021/22 si sono attestati oltre quota 870mila e, con il ritmo attuale, in circa un decennio si potrà arrivare a un milione. La maggior parte di questi alunni con cittadinanza non italiana è nata in Italia (il 67,5%) e quasi la metà (il 44%) è di origine europea. Questi dati evidenziano il significativo contributo della popolazione straniera contro il calo demografico del nostro Paese. Poi c’è l’altra faccia della medaglia: gli alunni con background migratorio rischiano maggiormente un abbandono scolastico precoce o di diventare Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano.

Una legge anacronistica

«Le persone che hanno acquisito la cittadinanza nel 2022 sono state circa 214mila, quindi non è vero che i bambini stranieri poi non diventano italiani» premette Gian Carlo Blangiardo, presidente della Fondazione Ismu. Per capire cosa occorre fare adesso nel cantiere della cittadinanza, Blangiardo parte dalla legge di riferimento in materia, la n. 91 del 1992, che ha una sua filosofia di fondo: quella cioè, secondo cui i bambini possano avere la cittadinanza dei genitori fintanto che sono minorenni. Si stabilisce inoltre che se almeno uno dei due, la madre o il padre, acquisisce la cittadinanza, la trasmette direttamente al figlio minore convivente: «Circa il 40% dei minori ottiene la cittadinanza così. Dopodiché, è pur vero che abbiamo una legge pensata quando l’Italia non era ancora un Paese di immigrazione». È lo stesso Blangiardo a dirlo: «La norma andrebbe aggiornata. Per esempio riducendo il termine di 10 anni minimo di residenza continuativa in Italia per poter accedere alla cittadinanza». Per tendere la mano a chi è nato o cresciuto in Italia, secondo Blangiardo si potrebbe inoltre snellire la burocrazia: «Pensiamo allo sport. Se uno è minorenne, risiede qui e vuole giocare nella nostra nazionale, chi se ne importa se non ha la cittadinanza italiana?».

Il criterio del reddito

Tra gli ostacoli per l’ottenimento della cittadinanza ci sono anche i requisiti richiesti, come la continuità di un reddito minimo per i tre anni precedenti. Per il presidente il vero ostacolo da abbattere è la disuguaglianza tra stranieri e italiani. «Il passaporto che si ha in tasca non dovrebbe determinare differenze. Se da una parte è giusto che si chiedano requisiti a garanzia della stabilità del sistema Paese, dall’altra bisognerebbe migliorare le condizioni di vita anche di chi è nato da genitori stranieri».

Il nodo disuguaglianze

La debolezza della seconda generazione è un problema che non è stato affrontato abbastanza e che adesso ci si ritorce contro anche secondo la professoressa di sociologia Laura Zanfrini, responsabile del settore economia, lavoro e welfare della Fondazione Ismu: «Se i genitori stranieri si collocano in lavori meno retribuiti e magari in nero, hanno una fragilità economica che sommata a quella culturale favorisce le disuguaglianze anche per i figli. Bisognerebbe far crescere i livelli salariali e fare più interventi di contrasto all’economia sommersa». Tra i giovani stranieri c’è un universo eterogeneo. Alcuni si perdono durante il percorso formativo e non trovano poi una collocazione lavorativa. Altri invece nei loro Paesi hanno acquisito un’istruzione, ma il sistema produttivo italiano fa fatica a leggere queste competenze. «Si parla spesso del riconoscimento del valore legale del titolo di studio, ma questo problema c’è solo nei concorsi pubblici, non nel privato.

Le aziende devono però abituarsi ad apprezzare titoli di studio che siano stati acquisiti in altri Paesi», aggiunge Zanfrini. Complessivamente, il paradosso che emerge schiacciante dal XXIX Rapporto sulle migrazioni è l’incapacità del sistema di far incontrare questa parte della popolazione con gli imprenditori che cercano personale: «Le aziende non trovano lavoratori e nei prossimi anni avremo importanti carenze strutturali. Gli stranieri sono una componente importante del nostro capitale umano di domani».




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