giovedì 17 aprile 2025
Emergency sulle missioni della nave Life Support: nel 2023 salvate 1.232 persone. Col Decreto Piantedosi capacità operativa ridotta. Ultimo salvataggio: 82 naufraghi, porto assegnato Ravenna a 1700 km
Il momento in cui il team Sar della Life Support si avvicina al gommone con 82 naufraghi

Il momento in cui il team Sar della Life Support si avvicina al gommone con 82 naufraghi - Emergency

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Sono 1.232 i naufraghi strappati alle onde nelle 13 missioni concluse nel corso del 2024, in fuga da guerre o gravi violazioni dei diritti umani. Numeri importanti, quelli contenuti nel rapporto “Il confine disumano - Salvare vite nel Mediterraneo centrale”, dedicato al secondo anno di attività della nave Life Support. Ma che non soddisfano gli operatori umanitari di Emergency attivi nella ricerca e nel soccorso in mare dei profughi. Perché le regole dei decreti Piantedosi e Flussi comprimono le capacità operative di una nave certificata per accogliere fino a 175 naufraghi, ma che in media ne ha potuti portare non più di 95 a missione. Compiuto un salvataggio (massimo due nella stessa area), le navi Sar (Search and rescue) sono obbligate a tornare subito in Italia. Mai nel porto più vicino, ma in quello assegnato dal governo volta per volta. Con criteri opachi, che di fatto impongono traversate di giorni. Il risultato è allontanare le navi dalle aree a rischio, aumentare i costi di navigazione, costringere i naufraghi a ulteriori giorni di disagio.

E l'ultimo salvataggio è stato martedì 17 aprile nel pomeriggio. «Abbiamo avvistato un gommone sovraffollato e deformato dal peso delle troppe persone a bordo mentre il mare era ancora mosso con onde lunghe», racconta dalla nave il capo missione Jonathan Nanì La Terra. Sono state salvate 82 persone di cui 11 donne, 2 ragazze minorenni non accompagnate, 23 minori non accompagnati e 2 bambini accompagnati. Partiti da Zawiya in Libia, provengono da Sudan, Eritrea, Etiopia, Ghana, Nigeria e Togo. Le autorità hanno assegnato come Pos (Place of safety), il porto di Ravenna che è a oltre 900 miglia dal punto in cui è stato effettuato il soccorso, pari a quasi 1.700 chilometri, oltre 4 giorni di navigazione.

Dall'inizio delle attività Sar, a dicembre 2022, la nave Sar di Emergency ha complessivamente salvato nel Mediterraneo centrale ben 2.701 persone. Delle 1.232 soccorse l'anno scorso, 1.003 sono uomini, 88 donne, 109 minori non accompagnati e 32 accompagnati. I nuclei familiari sono stati 46, le donne incinte 2. Le principali provenienze sono state Siria, Bangladesh, Pakistan, Egitto, Nigeria, Eritrea, Ghana, Mali, Sudan, Marocco e Palestina. Cioè paesi colpiti da guerre devastanti, instabilità politica, crisi economiche e cambiamenti climatici. Il team sanitario ha effettuato 867 visite a bordo su 519 pazienti, di cui 58 donne, 47 minori e 414 uomini. Le principali patologie sono state dermatologiche, spesso dovute al mix di carburante e acqua di mare, poi disturbi del tratto respiratorio, malattie gastrointestinali e disidratazione.

Nel 2024 la nave Life Support ha compiuto 13 missioni di soccorso nel Mediterraneo, percorrendo quasi 39 mila chilometri e navigando per 139 giorni. Ha realizzato 24 interventi nelle zone Sar libica e maltese, a seguito dei quali le sono stati assegnati i porti di Ravenna (3), Ancona (2), Livorno (2), Ortona (1), Civitavecchia (1), Napoli (2), Vibo Valentia (1) e Catania (1). Nove su tredici sono al Centro-Nord. La prassi del governo di assegnare porti di sbarco distanti ha costretto la Life Support - e i naufraghi a bordo - a percorrere in media 630 miglia nautiche in più per ogni missione, impiegando oltre tre giorni di navigazione. Per andare e poi tornare in zona operativa sono stati necessari 59 giorni di navigazioni aggiuntiva. Tutto tempo prezioso sottratto all’attività di ricerca e soccorso.

«Assegnando porti lontani centinaia di miglia dal luogo del soccorso, le autorità italiane costringono le navi Sar delle Ong a molti giorni di viaggio in più - spiega Carlo Maisano, capo progetto Life Support - con una pratica disumana che posticipa, senza motivo, l’assistenza di cui hanno bisogno le persone soccorse, mettendo a rischio la loro salute psico-fisica. Inoltre, tiene lontane le navi dove più servirebbero. Il decreto Piantedosi, quindi, insieme all’assegnazione di porti lontani e alle detenzioni amministrative delle navi, ha sottratto tempo e risorse preziose al soccorso e alla tutela della vita di chi è in mare».

La nave sar Life Support

La nave sar Life Support - Archivio Emergency

Anche per questo le navi Sar delle Ong nel 2024 hanno soccorso complessivamente il 18% delle persone sbarcate in Italia. «Se fosse stato possibile raggiungere la capienza massima - spiega la ong - avrebbe potuto soccorrere almeno 1.043 persone in più». Col decreto Flussi 2024 l’Italia ha esteso l’applicazione del decreto Piantedosi e relative sanzioni anche agli aerei delle Ong che fanno ricognizione sul Mediterraneo. La totalità delle imbarcazioni in difficoltà soccorse dalla Life Support è partita dalle coste libiche, nessuna proveniva più dalle coste tunisine come invece l’anno precedente. «Probabilmente per le prassi vessatorie adottate dalla Tunisia -a afferma Emergency - con le intercettazioni realizzate dalla Guardia nazionale tunisina e con il Memorandum d’intesa Ue-Tunisia».

Emergency esorta le autorità a correggere politiche dimostratesi inefficaci a ridurre le vittime in mare, ricordando «i 1.719 dispersi accertati nel 2024 lungo la sola rotta centrale. Ma l’Ue, l’Italia e gli altri Stati membri rispondono al fenomeno con politiche di esternalizzazione delle frontiere, appaltando la gestione dei flussi migratori a Paesi Terzi che vìolano sistematicamente».

Emergency fa cinque raccomandazioni. La prima è porre la tutela della vita in mare al centro di ogni decisione che riguarda il Mediterraneo e attivare una missione Sar europea. La seconda prevede di riconoscere il ruolo umanitario delle Ong, abbandonando le attuali pratiche di criminalizzazione. La terza chiede di revocare i Memorandum Italia-Libia e Ue-Tunisia. La quarta sollecita a chiudere i centri albanesi, dirottando i finanziamenti per rafforzare il sistema d’accoglienza. L’ultima chiede di investire in programmi di cooperazione di lungo periodo e garantire vie di accesso sicure e legali in Europa.

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