Immigrati in formazione e lavoro in un programma europeo - Thomas Martin per La Croix
Mentre i riflettori dei media restano invariabilmente puntati sui nuovi arrivi di migranti, poco si racconta dei molti che hanno deciso di tornare nel Paese di origine, complice la crisi occupazionale ed economica generata da mister Covid. Tra questi c’è anche chi riesce a farlo in maniera strutturata utilizzando il Progetto di ritorno volontario assistito, una misura prevista dal ministero dell’Interno con cui si offre l’opportunità di rientrare attraverso un progetto individuale che comprende il counseling, l’assistenza logistica e finanziaria per il viaggio e l’accompagnamento al reinserimento sociale ed economico in patria. «Non si deve leggere il ritorno a casa semplicemente come un fallimento dell’esperienza migratoria – spiega Elisabetta Tuccinardi, responsabile del progetto per il Cir, il Consiglio Iitaliano per i rifugiati –. In molti casi è l’occasione per investire il capitale umano acquisito in Italia in termini di conoscenze e competenze, e diventa un passaggio intermedio che prelude a una ripartenza in termini umani e professionali».
Possono candidarsi a usufruire del progetto i migranti irregolari, i titolari del diritto di soggiorno (tranne quelli che provengono da Stati per i quali non si richiede il visto d’ingresso in Italia), di protezione internazionale o di protezione temporanea e anche coloro che si sono visti rifiutare la richiesta di protezione o quanti sono in attesa di una risposta. Il percorso del ritorno volontario è complesso, molti sono i passaggi e le istituzioni che devono analizzare la pratica, e spesso le tempistiche non coincidono con le attese di chi si è candidato e che ha fretta di tornare. In questo periodo, in particolare, il blocco dei voli, lo slittamento di tante partenze, la necessità di garantire il tampone molecolare che dia risultato in 48 ore – il tempo richiesto dalle compagnie aeree per accettare il migrante a bordo – hanno fatto diventare tutto più complicato.
Per ogni persona che viene autorizzata al rientro assistito è previsto uno stanziamento di 4.500 euro che comprende le spese di viaggio, quelle per il rilascio del lasciapassare da parte dello Stato di origine quando il migrante non è in possesso del passaporto (caso piuttosto frequente), una somma di 400 euro in contanti che viene consegnata il giorno della partenza e 2.000 euro come contributo per la fase di reintegrazione, erogati in beni e servizi e il costo del personale necessario per supportare l’intero processo in Italia e nel Paese d’origine. All’arrivo in patria il migrante viene seguito da un ente locale che lavora in partnership con quello operante in Italia e lo accompagna in un percorso che prevede inserimento abitativo, lavorativo e formazione professionale. Sono 450 le persone che attualmente stanno usufruendo del programma di rientro assistito del Cir. Nigeria, Bangladesh, Ghana, Pakistan e Senegal i principali Paesi di ritorno.
Ahmed, che oggi ha 37 anni, ha lasciato il Pakistan nel 2009. Sognava un lavoro stabile e la possibilità di sostenere la famiglia, ma la realtà è stata molto diversa: ha fatto i conti con il degrado abitativo, ha dovuto accettare lavori irregolari e sottopagati, il tutto in una situazione di precarietà giuridica e con la nostalgia del suo Paese che continuava ad aumentare. Quando ha saputo dell’esistenza del Progetto di ritorno volontario si è candidato, e con l’assistenza del Cir è riuscito a tornare in Pakistan dove grazie al contributo per la reintegrazione ha comprato un trattore avviando un’attività come agricoltore.
Kubra ha lasciato la Nigeria a 19 anni, faceva la parrucchiera e sognava l’Europa come tante sue coetanee, ma anche lei ha dovuto abbandonare il sogno e fare i conti con una realtà dura. Dopo tre anni di tentativi andati a vuoto ha deciso di tornare a casa e di riprendere il suoi lavoro. Ha aderito al progetto di ritorno volontario del Cir e grazie all’aiuto di un ente partner locale ha aperto un laboratorio di parrucchiera dove lavorano con lei altre due donne.