giovedì 24 gennaio 2019
Settore in ginocchio per non far torto a Tripoli che pretende il controllo delle acque internazionali. De Falco (ex M5s): «Abbiamo abdicato al dovere di difendere gli italiani»
Lo scorso ottobre, in acque internazionali, a 29 miglia dalla costa libica, sono stati sequestrati due pescherecci di Mazara del Vallo, poi condotti nel porto libico di Ras Al Hilal. È l’episodio che scatena la polemica sull’allentamento del pattugliamento in mare da parte dell’Italia, iniziato già nella fase finale del governo Gentiloni

Lo scorso ottobre, in acque internazionali, a 29 miglia dalla costa libica, sono stati sequestrati due pescherecci di Mazara del Vallo, poi condotti nel porto libico di Ras Al Hilal. È l’episodio che scatena la polemica sull’allentamento del pattugliamento in mare da parte dell’Italia, iniziato già nella fase finale del governo Gentiloni

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Prima gli italiani? Anche no, a vedere quanto accade nel Canale di Sicilia ai nostri pescatori. La Libia, o meglio il governo di Tripoli, con atto unilaterale, nel 2005, ha allargato la sua 'zona economica esclusiva' ben 62 miglia oltre le 12 delle acque territoriali, un’area di impressionante estensione a guardare la cartina. L’Italia non ha mai accettato questo stato di cose, ma la situazione è cambiata progressivamente con la 'stretta' anti-sbarchi. Già nella fase finale del governo Gentiloni, nella gestione Minniti dell’immigrazione, si è registrato – accanto a una riduzione della presenza delle Ong – un allentamento del pattugliamento in mare. Ma la svolta si è avuta nell’ottobre scorso, quando in acque internazionali a 29 miglia dalla costa libica, sono stati sequestrati due pescherecci di Mazara del Vallo, e – dopo spari indirizzati ad altezza d’uomo – le nostre imbarcazioni sono state condotte al porto libico di Ras Al Hilal, tenendo prigionieri i due comandanti e gli uomini dell’equipaggio per tre lunghi giorni e sequestrando il pescato. La cosa esilarante, se non fosse drammatica, è che ad effettuare l’operazione sono state le motovedette di cui noi stessi abbiamo dotato la traballante Guardia costiera libica, a più riprese, a partire dal governo Berlusconi fino all’attuale. Ci si sarebbe potuta aspettare una reazione forte a tutela dei nostri pescatori, invece nel corso di un vertice tenutosi in novembre al ministero delle Politiche agricole (retto dal ministro leghista Gian Marco Centinaio, presenti le associazioni della pesca, rappresentanti della Marina e della Farnesina) ne è scaturito il pressante consiglio di tenersi lontani dalle acque internazionali in cui la Libia rivendica come 'sue'.

A sollevare il caso, ora che quel tratto di mare si è trasformato, ancora una volta, in un cimitero di migranti, è stato il senatore, ex M5s, Gregorio De Falco, uomo che di soccorsi in mare qualcosa sa: «Abbiamo abdicato al dovere di difendere gli interessi italiani in mare – dice l’ex comandate della capitaneria di Livorno –. Abbiamo allontanato le navi della marina e della Guardia costiera, oltre a quelle delle Ong, proprio da quei tratti di mare, guarda a caso, in cui sono più frequenti i naufragi di migranti».

La Marina difende il suo operato. Interpellata, assicura di star applicando solo le leggi, che l’opera di pattugliamento 'Mare sicuro' prosegue e che se c’è bisogno di azioni di forza a tutela dei nostri pescatori si interviene senz’altro. Ma – il punto è questo – dopo il sequestro di ottobre il messaggio arrivato loro è chiaro: se vi avventurate nelle acque internazionali che la Libia rivendica come sue lo fate a vostro rischio e pericolo. E infatti i nostri pescatori non ci vanno più. «Ma – ribatte de Falco –, se la nave a supporto parte da cento miglia di distanza l’effetto di deterrenza è nullo. E lo stesso vale in caso di Sos di imbarcazioni di migranti. Se la nave italiana intervenuta nell’ultimo naufragio non fosse stata 110 miglia distante sarebbe potuto essere più tempestivo ed efficace».

L’attività di Vi.Pe. ( Vigilanza sulla Pesca) a protezione della nostra pesca da parte della Marina nel mare di Sicilia fu istituita nel 1959. E anch’essa non è interrotta, assicura la Marina. «Ma – nota il sindaco di Mazara Nicola Cristaldi – registriamo un arretramento e un allentamento dei controlli, elicotteri e velivoli non ne vediamo più. La Marina non ha colpe, ma se quando c’è da intervenire chiedono ai loro comandanti e i loro comandanti contattano il governo, e dal governo arriva un inputdel tipo 'fatevi i fatti vostri', le conseguenze non possono essere che queste».

Sono circa 90 le imprese di pesca a Mazara, e ora sono tutte in crisi, in lotta per sopravvivere. Matteo Salvini, che dice di apprezzare il gambero rosso di Mazara (che ora non si sa più dove pescare) dopo i sequestri assicurò che gli interessi dei pescatori sarebbero stati tutelati. Ma così non è stato. Sono ora costretti ad andare altrove: al largo delle coste greche ci sono a volte anche 20 pescherecci del Paese. Vincenzo Asaro è un armatore che gestisce con due fratelli 5 imbarcazioni, una delle quali sequestrata dai libici l’ottobre scorso: «Registriamo un cambiamento delle priorità – dice – tutelare i nostri interessi è diventato marginale rispetto all’obiettivo di respingere i migranti». Il caso è stato messo sotto la lente dagli analisti. «La pretesa libica presenta profili d’illegittimità e infatti l’Ue nel 2006 l’ha contestata», ricorda l’ammiraglio Fabio Caffio di 'Analisi Difesa'. Ma, come al solito, poi l’Italia è stata poi lasciata sola e ora - forse per il 'rischio' di dover soccorrere dei migranti - ha finito per sottostare del tutto a quella pretesa. «Ma i diritti dei pescatori sono un interesse nazionale legittimo – dice il generale Leonardo Tricarico, della fondazione Icsa – e l’Italia non può rinunciare a rivendicarlo».

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