venerdì 4 gennaio 2019
Sale la tensione fra il ministro dell’Interno e i sindaci anti decreto. Salvini va all’attacco («Dimettetevi») e tira in ballo il Quirinale. Di Maio: campagna elettorale della sinistra
Richiedenti asilo impiegati dai comuni in lavori di pubblica utilità: col decreto sicurezza sono a rischio anche questi percorsi

Richiedenti asilo impiegati dai comuni in lavori di pubblica utilità: col decreto sicurezza sono a rischio anche questi percorsi

COMMENTA E CONDIVIDI

Dopo le prime schermaglie, diventa frontale lo scontro fra il ministro dell’Interno e i sindaci non disposti ad applicare alcune norme del decreto sicurezza. Col primo che li invita alle dimissioni e i secondi pronti a interessare la Consulta. Tensioni che si riverberano sul Parlamento e sul governo, col premier Giuseppe Conte propenso a mantenere una porta di dialogo con l’Anci, che rappresenta gli 8mila comuni italiani, ma fermo nel condannare le forme di obiezione al provvedimento: «È inaccettabile che i sindaci non applichino una legge dello Stato», si ribadisce da Palazzo Chigi. Mentre il vicepremier e leader di M5s Luigi Di Maio liquida la questione come una polemica politica: «Penso che sia solo campagna elettorale di sindaci che si devono sentire un po’ di sinistra facendo questa cosa».

Il muro di Salvini. «Il decreto lo abbiamo già discusso, limato per tre mesi e migliorato. Lo ha firmato il presidente della Repubblica e adesso questi sindaci vorrebbero disattenderlo? », ribadisce in serata il titolare del Viminale Matteo Salvini, riservando il refrain «è finita la pacchia» anche ai primi cittadini disobbedienti. «Io non mollo. Se c’è qualche sindaco che non è d’accordo, si dimetta. Orlando e De Magistris dimettetevi», incalza in diretta Facebook, rivolgendosi pure al fiorentino Dario Nardella. «Fate i sindaci e fate il vostro lavoro ». Affondi a cui replica il presidente dell’Anci Antonio Decaro, sindaco dem di Bari: «Le nuove norme ci mettono in oggettiva difficoltà. Se il ministro ritiene che il mestiere di sindaco sia una pacchia, siamo pronti a restituirgli la fascia tricolore».

Ricorso alla Consulta. Il fronte anti decreto va dalle amministrazioni di grandi città (Milano, Napoli, Firenze, Palermo) a quelle di comuni medi e piccoli, in molti casi retti da giunte di centrosinistra. Il primo a opporsi è stato il sindaco palermitano Leoluca Orlando. Dopo aver disposto (con una nota al dirigente dell’anagrafe) la 'sospensione' del decreto rispetto al divieto di residenza per i migranti, ora guarda alla Consulta: «Non è disubbidienza, né obiezione di coscienza. Ero docente di diritto costituzionale e so di cosa parlo. Ho dato incarico all’ufficio legale di adire il giudice. Occorre sollevare la questione incidentalmente in un giudizio». Anche il dem Nardella ci sta pensando: «Stiamo valutando una strada coi nostri avvocati e con alcuni costituzionalisti, sapendo che i Comuni non hanno la facoltà di fare un ricorso diretto alla Consulta».

I «pro-decreto». L’eventuale dialogo col governo non si presenta semplice. Al suo interno, l’Anci non ha una posizione unitaria. Si fanno sentire infatti pure i sindaci 'pro decreto'. Trenta di loro (in gran parte di comuni guidati dal centrodestra, come Venezia, Treviso, Novara, La Spezia, Ascoli, L’Aquila, Terni e Andria) hanno scritto una lettera al presidente Decaro per chiedergli di evitare strumentalizzazioni dell’Anci, ribadendo che applicheranno il provvedimento perché contiene «principi giusti e condivisibili». In mezzo, gran parte dei primi cittadini degli 8mila comuni: «È tutt’altro che una buona legge», dice il sindaco livornese di M5s Filippo Nogarin, «ma non chiederò ai miei dirigenti di violarla o ignorarla». Cosa rischia chi non applica le norme? I sindaci possono essere denunciati dai prefetti per abuso d’ufficio e anche rimossi dall’incarico, con un decreto del ministro dell’Interno, in base al Testo unico sugli enti locali.

L’attenzione del Quirinale. L’evolversi della situazione viene seguito dal capo dello Stato: «Se c’è una legge approvata dal Parlamento, dal governo e firmata dal Presidente della Repubblica, si rispetta – asserisce Salvini –. È troppo facile applaudire Mattarella quando fa il discorso in televisione a fine anno e due giorni dopo sbattersene ( sic)». Sul punto dal Colle non arriva alcun commento, ma il Mattarella pensiero è noto: non si può sostenere che il capo dello dello Stato condivida necessariamente intenti e formulazione delle leggi che è chiamato a promulgare. Lo ha chiarito lui stesso rispondendo, nell’ottobre 2017, a uno studente che gli chiedeva «come si comporta quando gli capita di dover firmare degli atti che non gli piacciono » C’è un caso, ha precisato Mattarella, «in cui devo non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee... Ho l’obbligo di firmare».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: