venerdì 17 giugno 2011
Critiche al governo anche dal centro Astalli. Ieri sera veglia di preghiera con Caritas, Acli e Sant'Egidio per i morti sui barconi
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Critiche all’allungamento dei tempi di trattenimento nei Cie arrivano dall’associazionismo cattolico impegnato sul tema dell’immigrazione. Per monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, ciò «significa esasperare maggiormente la situazione», perché «non sono un luogo dove le persone vengono tutelate». Il problema, spiega all’agenzia Sir, «non sono tanto i tempi quanto il luogo. I Cie sono un luogo di grande conflittualità, violenza, autolesionismo». E mancano progetti di integrazione. Rincara la dose padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli dei gesuiti, che si interroga sul senso dell’iniziativa e non lo trova: «Per noi è assurdo». Ed è «una giustificazione dire che si tratta dell’attuazione di una direttiva europea, perché sappiamo che ogni Stato ha la possibilità di migliorarle». Contesta l’urgenza del provvedimento Mario Marazziti, portavoce della comunità di Sant’Egidio, per il quale «così si spende solo per l’espulsione degli immigrati, mentre è stato azzerato l’investimento per l’integrazione».Le tre realtà hanno dato vita ieri con la Federazione delle Chiese evangeliche, la Caritas e le Acli alla veglia "Morire di speranza", quinta edizione, caduta stavolta in un "annus horribilis" costato già 1.820 vite nel Mediterraneo (di cui 1.633 in viaggio verso l’Italia) sulle 2.532 di tutti viaggi della speranza verso l’Europa. L’agghiacciante bilancio stimato dal 1990 è di 17.597 (di cui 7.277 facevano rotta verso la Penisola). Sono state ricordate nella basilica di Santa Maria in Trastevere durante il momento di preghiera - al quale hanno partecipato anche gli ortodossi - animato da canti eseguiti da rifugiati. Mentre venivano accese candele, sono stati scanditi i nomi degli annegati di cui la comunità trasteverina ha conosciuto l’identità grazie ai parenti che non ne hanno più saputo nulla. Ma un pensiero è andato anche ai tanti ignoti, con la formula «.... e gli altri 350 (o altro numero) della loro barca». In più è stato fatto girare un paniere in cui si potevano mettere foglietti con altri nomi, anch’essi letti. In processione sono sfilate, poi, due gigantografie simbolo. Una dedicata al "fronte" asiatico, con un passaggio di profughi in una gola montana (un pensiero è andato ai poco ricordati giovani afghani che perdono la vita infilandosi sotto camion portacontainer che arrivano al porto di Ancona). L’altra un salvataggio in mare di chi viene dall’Africa (in maggioranza eritrei, etiopi, nigeriani). Proprio ai salvataggi si è riferito nel suo intervento l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti. «L’accoglienza è un dovere dell’Europa e chiediamo ai governi di fare tutto il possibile per soccorrere quanti giungono nel nostro continente per sfuggire da guerre, fame e terrorismo e impostino le loro politiche nel senso dell’accoglienza». Al termine della veglia (che ha avuto come lettura-chiave quella del Buon Samaritano) è stata distribuita un’immaginetta di Gesù che salva Pietro dalle acque. E i promotori sono tornati a chiedere l’apertura di un canale urgente per gli aiuti umanitari.
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