mercoledì 19 giugno 2013
La Consulta respinge il ricorso di Berlusconi. Il Cavaliere: «Accanimento giudiziario senza eguali». Ma sottolinea: «lealtà» al governissimo, no a conseguenze politiche. I legali Longo e Ghedini: «Decisione desta preoccupazione». E i ministri Pdl fanno subito quadrato. 
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Respinto, dalla Consulta, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell'ex premier Silvio Berlusconi a comparire nell'udienza del processo Mediaset - del primo marzo 2010 - in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri non programmato.Il verdetto dei giudici costituzionali è stato emesso "in base al principio di leale collaborazione" tra poteri e "fermo rimanendo che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al governo". A questa decisione, spiega Palazzo della Consulta, "la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la 'non rinviabilita" dell'impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario.Gli avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini, legali di Silvio Berlusconi, hanno duramente criticato la decisione della Consulta sull'ex premier. "I precedenti della Corte costituzionale in tema di legittimo impedimento sono inequivocabili e non avrebbero mai consentito soluzione diversa dall'accoglimento del conflitto proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri", hanno assicurato. "Evidentemente la decisione assunta si è basata su logiche diverse che non possono che destare grave preoccupazione". "La preminenza della giurisdizione rispetto alla legittimazione di un governo a decidere tempi e modi della propria azione appare davvero al di fuori di ogni logica giuridica", per i legali di Silvio Berlusconi. "Di contro - concludono Ghedini e Longo - la decisione, ampiamente annunciata da giorni da certa stampa politicamente orientata, non sorprende visti i precedenti della stessa Corte quando si è trattato del presidente Berlusconi e fa ben comprendere come la composizione della stessa non sia più adeguata per offrire ciò che sarebbe invece necessario per un organismo siffatto".
Silvio Berlusconi, dal canto suo, conferma «lealtà» al governissimo Letta "nonostante continui un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici". In una nota il Cavaliere commenta la sentenza della Consulta sui diritti tv Mediaset e torna a parlare di "accanimento giudiziario". L'ex premier assicura che non abbasserà la guardia e continuerà a impegnarsi in prima persona per il suo Paese: "Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent'anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un'Italia più giusta e più libera"."Ci rechiamo immediatamente dal presidente Silvio Berlusconi". Lo affermano in una dichiarazionecongiunta i ministri del Pdl, al termine del Cdm che ha approvato il ddl semplificazioni, commentando la sentenza della Consulta sui diritti tv Mediaset.Di «stupore», «sconcerto», «preoccupazione» è stata la reazione, variamente declinata, dei politici del Pdl. «Siamo all'assurdo, una sentenza persecutoria», ha detto Renato Brunetta, capogruppo  del Pdl alla Camera. «La Corte costituzionale che non ritiene legittimo impedimento la partecipazione di un presidente del Consiglio al Consiglio dei ministri: un assurdo che documenta la resa pressoché universale delle istituzioni davanti allo strapotere dell'ingiustizia in toga: la tentazione sarebbe quella di chiedere al popolo sovrano di esprimersi e di far giustizia con  il voto.  Sarebbe legittimo, ma vorrebbe dire fare un passo indietro rispetto al cammino di pacificazione nazionale che il governo di grande coalizione ha intrapreso. Più che mai si tratta di fare in modo che questo sacrificio di Berlusconi e nostro si tramuti in provvedimenti e in riforme capaci di dare sviluppo e giustizia giusta a questa Italia che vuole rinascere".«Scopro oggi con preoccupazione e stupore di vivere in un Paese in cui presiedere il Consiglio dei ministri non costituisce causa di legittimo impedimento", afferma il capogruppo del Pdl al Senato, Renato Schifani, che aggiunge: "C'è da interrogarsi molto su questo strano principio. Sono vicino con affetto al presidente Berlusconi, anche a nome dei senatori del Popolo della Libertà, e attendo con molta fiducia il pronunciamento finale della Cassazione. Convinto sempre più che il nostro leader sia totalmente estraneo rispetto ai fatti che gli vengono contestati sul caso Mediaset. Ancora una volta comunque il presidente Berlusconi conferma il suo profilo di autentico statista, garantendo che il pronunciamento di oggi non avrà alcun riflesso sulla stabilità di governo", conclude Schifani.
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