Esiste un "piano" per dirottare migliaia di alunni dalle scuole materne paritarie a quelle statali. Lo denuncia il presidente della Federazione italiana delle scuole materne, Redi Sante Di Pol, che con quest’intervista lancia l’allarme parità. La questione, apertasi in Piemonte qualche mese fa, assume quindi contorni nazionali. Con buona pace della legge sulla parità scolastica e incuranti della storica funzione di queste istituzioni, che assolvono ancora oggi importanti funzioni sociali, diversi Comuni cercano di risparmiare i magri contributi che erogano alle scuole paritarie chiedendo l’istituzione di nuovi asili statali. Su questa strada, incrociano le ansie dei dirigenti scolastici locali, alla spasmodica ricerca di nuovi alunni, per dare lavoro ai precari ed evitare che i tagli, prima o poi, si abbattano anche sulle loro poltrone. Insomma, il piatto è ricco - acquisire i 500mila iscritti alle scuole della Fism significherebbe aumentare del 60% gli iscritti agli asili dello Stato - e Bianzè rischia di fare scuola: nel paesino del Vercellese il sindaco, spalleggiato dai dirigenti scolastici, ha sfrattato l’asilo che funzionava da 150 anni per far aprire negli stessi locali una sezione statale. Il Comune risparmierà (forse...) qualche migliaio di euro, le famiglie non verseranno più le rette, ma lo Stato si troverà a pagare sei volte tanto per ogni alunno bianzinese, perché tale è il "delta" tra i costi di un asilo paritario e quelli di una analoga struttura statale.
Di Pol, la parità scolastica è una legge dello Stato o una concessione revocabile?È una legge che sta diventando una concessione. La normativa sulla parità scolastica, la n. 62 del 2000, promossa dal ministro Luigi Berlinguer, prevede un riconoscimento, anche economico, per le scuole che rispettino i requisiti previsti. Come tutte le leggi, purtroppo, viene applicata dai funzionari e se i dirigenti del ministero si mettono di traverso la certezza della legge si offusca.
E se a mettersi di traverso è un sindaco?Quello di Bianzè, nel Vercellese, ha invocato la povertà delle famiglie per chiudere un asilo gestito dai genitori che funzionava perfettamente. Non dispongo dei dati Isee di Bianzè, ma rilevo che il Comune di Torino, che ha problemi di indigenza della popolazione certamente superiori, contribuisce con 14.000 euro a sezione al funzionamento delle scuole paritarie e a Santena (Torino) non si pagano rette perché il Comune attua la parità totale.
Le Regioni fanno la loro parte?Quelle che la fanno, contribuiscono alla parità con modalità diverse. Dal 2011, peraltro, le Regioni sono competenti per l’istituzione di nuove sezioni di scuola dell’infanzia statale e l’importanza di questa funzione si è notata nel caso di Bianzè. In Piemonte è previsto che non si possa istituire una sezione statale ove vi sia già una paritaria che risponda all’intero fabbisogno locale; poiché entrambi questi requisiti erano rispettati, il sindaco di Bianzè ha dovuto far chiudere l’asilo paritario per ottenere l’apertura della sezione statale.
Perché non vi convince il ruolo del ministero in questa vicenda?Perché un dirigente scolastico che dipende gerarchicamente dal Ministro ha firmato una convenzione (tra l’altro, di dubbia legittimità) che ha permesso di chiudere l’asilo paritario e aprire quello statale. Con questa scelta, il Ministero ha negato la funzione pubblica della scuola paritaria riconosciuta dalla Legge 62 e ha violato il dettato costituzionale, cioè il rispetto del principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 118.
Il governo ha rinnegato la politica della parità?Nei fatti è così. Del resto è indiscutibile che le politiche di assorbimento dei precari abbiano intensificato la "concorrenza" sulle iscrizioni tra strutture statali e paritarie. I dirigenti scolastici, preoccupati di vedersi tagliare il posto per difetto di iscritti e di non soddisfare le attese del governo, che si è impegnato con il sindacato ad assumere i precari della scuola, si sentono autorizzati a premere sugli amministratori locali per chiudere gli asili paritari e sostituirli con quelli dello Stato. Questa è una politica suicida sul piano finanziario, perché se è pur vero che le rette degli asili statali sono molto più basse delle nostre, nessuno spiega agli italiani che il costo per alunno delle sezioni statali è sei volte quello delle paritarie e che questo costo viene sostenuto dalla fiscalità generale. In altre parole, tutti paghiamo perché i genitori dei bimbi in età da asilo non paghino nulla, esattamente come facciamo, forse più logicamente, per assicurare a tutti le cure sanitarie gratuite o altri servizi essenziali.