venerdì 28 giugno 2019
Rotelli (Gruppo San Donato): tante opportunità in aree strategiche. Anelli (Cattolica): più innovazione per poter crescere
Foto Sansone

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E se, oltre a moda, meccanica, cibo o arredamento, esportassimo anche buona sanità? E imparassimo a importare pazienti dall’estero? «I primi 500, provenienti dai Paesi dell’ex Urss, hanno già varcato le porte dei nostri ospedali – ha spiegato Paolo Rotelli, presidente del Gruppo ospedaliero San Donato, il maggiore della sanità privata italiana e tra i più grandi in Europa, ieri a Matera ospite della Festa di "Avvenire" –. Solo i russi, per esempio, spendono 3 miliardi di euro ogni anno per farsi curare in altri Paesi, Germania in primis. Ma l’Italia non ha nulla da invidiare alla sanità tedesca, o francese, o inglese. Anzi, tanti nostri ospedali sono migliori dei loro. E allora perché non approfittarne?». Non solo: «Voglio che la nostra sanità – ha aggiunto – coltivi delle opportunità anche in altre aree strategiche, come il Medio Oriente, dove siamo presenti».

Rotelli ha preso parte alla serata sull’"eccellenza della proposta italiana nel mondo: formazione, ricerca, cura" – introdotta dal vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa, Ciro Fanelli – confrontandosi con il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Franco Anelli. Per il quale «il sistema formativo e quello della ricerca devono essere il nucleo attorno al quale ripensare l’intero sviluppo del Paese», a patto di «difendere l’impianto delle università», di «razionalizzarlo, ammodernarlo», così da offrire «ai nostri laureati un terreno fertile, e non il deserto, altrimenti andranno via». Perché il problema dei cervelli in fuga, ha detto Anelli, «coinvolge il settore produttivo e quello accademico. Ma se quest’ultimo si conferma capace di formare ricercatori e docenti di valore, mostrando un’elevata produttività in termini di risultato di ricerca per capitale investito, una buona reputazione internazionale, e la capacità di offrire ai propri migliori talenti di esprimersi al massimo», non si può dire altrettanto per un «sistema produttivo che ha un bisogno improrogabile di essere guidato da politiche di lungo periodo».

Del resto, l’Italia, ha osservato il rettore della Cattolica, continua «a impiegare molte delle sue risorse per spese correnti (pensioni, stipendi pubblici…) e sempre meno per investimenti: sia per quelli infrastrutturali, sia per i valori immateriali, cioè la conoscenza, la ricerca, l’innovazione». Per «tradizione», ha dichiarato Anelli, «abbiamo guardato dalla parte sbagliata, cioè pensando che la grande occupazione derivasse da una industria tutto sommato basica, cioè ad alta intensità di manodopera, che lo Stato finanziava. Ma l’innovazione nell’industria italiana la fa l’ingegnosità di imprenditori di industrie di piccole e medie dimensioni per i quali non è sempre facile tutelare e sviluppare tutte le potenzialità delle proprie intuizioni». La conclusione per Anelli è obbligata: «Se costruiremo un sistema imprenditoriale e industriale fondato sull’innovazione più che sulla concorrenza di prezzo avremo speranze, altrimenti siamo destinati a perdere». Se pensiamo, insomma, «di sopravvivere come si è fatto nei decenni scorsi con produzioni un po’ più economiche, a minor contenuto tecnologico e con un vecchio sistema di regole, siamo finiti».

Una impostazione condivisa da Rotelli: «Siamo un Paese che cresce pochissimo – ha affermato –, i nostri compensi non sono competitivi. Formiamo menti eccezionali che pubblicano tanto e bene ma che perdiamo. Eppure abbiamo un sistema sanitario universalistico unico che concorre a renderci uno dei popoli più "sani" al mondo». Un sistema da «esportare». Anche perché «con i tagli e la pressione del debito, che diventa pressione sui conti della sanità, è diventato indispensabile allargare i confini. In Italia, poi, oltre ad ottime cure, possiamo offrire un valore aggiunto: la capacità di trattare i pazienti come persone e non come malati da curare». Per Rotelli «è arrivato il momento di considerare la sanità italiana non solo come una grande conquista sociale ma anche come una opportunità di business per far crescere il Paese. Solo così potremo avere le risorse per tenere i migliori talenti a casa nostra. Anzi, per importarne».

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