lunedì 6 gennaio 2014
Parla uno dei genitori adottivi in Congo: «È dura ma non perdiamo la speranza». Continua l’odissea delle 24 coppie italiane. Il dolore di un padre: «Il nostro Julien è spaventato e mia moglie distrutta all’idea di non portarlo a casa».
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«Lo sa che parla già l’italiano? Mi ha chiamato ieri (venerdì, ndr), verso mezzogiorno. Era spaventato. Mi ha detto: “Papi, mamma torna a casa, io no. No passaporto. Ho paura”. Mia moglie è distrutta all’idea di doverlo lasciare. Non l’ho mai sentita così, in trent’anni che la conosco».Corrado Nota e Paola Ghignone hanno preso la dolorosa decisione di rientrare a Torino dopo oltre quaranta giorni di “limbo giuridico” a Kinshasa. Lui è tornato il 30, poco prima che l’aeroporto fosse chiuso per un tentativo di golpe. Lei lascerà la capitale congolese nei prossimi giorni. Erano partiti il 18 novembre, insieme ad altre 23 famiglie italiane, con già la sentenza del tribunale dei minori congolesi in tasca per completare la procedura di adozione. E portare a casa il loro Julien. Dovevano restare 15-20 giorni. L’aumento dei controlli sulle famiglie straniere - deciso dal Congo il 25 settembre - ha coinvolto inaspettatamente anche chi aveva ormai il via libera legale. Per questo, il visto di uscita per Julien e gli altri bimbi non è mai arrivato. In compenso, è scaduto quello di soggiorno delle 24 coppie italiane, senza possibilità, al momento, di rinnovo. «Le autorità ci hanno chiesto di tornare a casa per dare loro il tempo di terminare le verifiche aggiuntive. E la Farnesina ci ha suggerito di accettare. Nel frattempo i piccoli resteranno lì, in strutture di nostra scelta, fin quando non potremo andare a riprenderli – racconta Corrado ad Avvenire –. Certo non è facile spiegarlo a Julien. Alcuni psicologi stanno aiutando Paola a farglielo capire, ma è durissima. Per tutti. Siamo una famiglia..».Una famiglia “spezzata”, al momento. «Julien è nostro figlio da un anno. Fin da quando, nel gennaio 2013, abbiamo ricevuto la notizia dell’abbinamento», afferma. Poi, con tipico “orgoglio” paterno aggiunge: «È bellissimo, molto in gamba. Abbiamo legato subito. E, in pochi giorni, ha conquistato anche il fratello». Emanuele, 9 anni, è il primo figlio dei Nota, anche lui adottivo. «Non sa quanto desiderava un fratello… L’ha atteso per i due anni delle procedure. E quando siamo partiti per il Congo era così felice».Durante le lunghe settimane a Kinshasa - costate alla famiglia 150 dollari al giorno, poi 120 («Ci hanno fatto uno sconto», aggiunge Corrado) - Julien ed Emanuele sono diventati inseparabili. «Giocavano insieme, disegnavano… Certo, per Emanuele la situazione è stata molto stressante: il Congo ha alti indici di insicurezza, restavamo quasi sempre rinchiusi nel residence». Da qui la decisione di Nota di riportare a casa il bambino, anticipando il rientro di qualche giorno rispetto alla moglie. «Emanuele non si è ancora reso conto del distacco. Quando lo farà, sarà molto duro», dice il padre che ha già ripreso il lavoro di impiegato alla Skf di Airasca. «In azienda sono stati molto comprensivi per il prolungamento inatteso dell’assenza. Ora, però, non è facile concentrarsi. Sto qui, presto anche Paola tornerà, ma un pezzo della nostra famiglia resterà in Africa». I Nota, però, non si arrendono. «Abbiamo tanto sognato di avere Julien… Non perdiamo la speranza. Ci auguriamo solo di poterlo riabbracciare presto».
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