mercoledì 14 ottobre 2020
Dopo l'arresto di 20 persone a seguito delle denunce di imprenditori parla il generale dei carabinieri Guarino: un momento importante che va dichiarato e celebrato
Un'immagine da una ripresa effettuata dai carabinieri durante l'indagine di Palermo

Un'immagine da una ripresa effettuata dai carabinieri durante l'indagine di Palermo - Ansa / Carabinieri

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Fermato per strada da un «esattore» del clan, un commerciante palermitano riprende, di nascosto, col cellulare la richiesta di pizzo. E all’estortore mostra un foglio: «Guarda questi: sono Falcone e Borsellino, uccisi da Cosa nostra, ti dovresti vergognare», lo apostrofa. Un gesto impensabile fino a qualche anno fa in un quartiere come Borgo Vecchio, capillarmente controllato dai boss. È il segno che ribellarsi è possibile. «A Palermo alcuni commercianti hanno combattuto la paura per le estorsioni e la violenza mafiosa con il coraggio della denuncia – scrive il premier Giuseppe Conte sui social –. Non vedo l’ora di volare a Palermo per incontrarli e ringraziarli uno ad uno. Con loro l’Italia alza la testa».

L’ultima inchiesta della Dda del capoluogo, che ieri ha portato al fermo di 20 persone, racconta in effetti una città diversa: su 20 estorsioni scoperte dai carabinieri, 14 sono state denunciate spontaneamente dalle vittime e 5 sono state confermate dai commercianti chiamati a testimoniare in caserma. Una novità assoluta che mette in crisi il sistema mafioso del pizzo, gestito al Borgo Vecchio sotto la supervisione del capomafia Angelo Monti, in cella fino a tre anni fa. Le intercettazioni dimostrano come molti estortori sono sempre più riottosi a chiedere il denaro e preferiscono altre attività criminali ritenute più sicure e redditizie come le rapine. Gli investigatori hanno poi accertato rapporti fra le tifoserie palermitane e Cosa Nostra, che ha sempre mostrato interesse affinché allo stadio si evitassero contrasti fra gruppi di ultras rivali che avrebbero potuto causare una diminuzione di spettatori.


«Èuna svolta che va dichiarata e celebrata. Lo consideriamo davvero un salto di qualità nei rapporti con gli imprenditori e gli esercenti, quelli che subiscono l’azione di cosa nostra sul territorio». È particolarmente soddisfatto il generale Arturo Guarino, comandante provinciale di Palermo dell’Arma dei Carabinieri. Spiega che i suoi uomini hanno colpito gli affari della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio nel mandamento di Porta nuiva. «Attività classiche di controllo mafioso del territorio che vanno dal traffico di stupefacenti alle estorsioni e al sostegno delle persone detenute, addirittura con forme di mediazione tra le tifoserie calcistiche e col controllo delle feste rionali». Ma ci tiene soprattutto a «ringraziare quegli imprenditori che si sono fidati di noi. Molti sono venuti spontaneamente a denunciare i fatti, ci hanno messo la faccia e noi li abbiamo tutelati. È questo il messaggio che vogliamo dare alla città. Basta al pizzo, grazie a voi imprenditori che vi siete fidati dell’Arma, grazie alle associazioni antiracket che hanno collaborato. Noi siamo al fianco di chi denuncia».

Generale, è dunque cresciuta la fiducia nei vostri confronti? Eppure non è la prima volta che colpite gli affari mafiosi delle estorsioni.
Non è la prima volta che facciamo questo genere di operazioni ma in questa occasione c’è stata una particolare fiducia nei confronti degli investigatori. Una fiducia volontaria, non stimolata da noi. E questo è un aspetto molto significativo che fa il paio con un’evidente debolezza di "cosa nostra" nell’affermare con violenza la sua presenza sul territorio.

"Cosa nostra" non fa più paura?
Non fa più la paura di un tempo. Quindi si è avviata quella spirale positiva nella quale speravamo. Grazie all’azione nostra e della Dda, e anche delle associazioni antiracket che fanno un grande lavoro sul territorio, c’è ora un rapporto di fiducia e soprattutto di tutela delle persone. Che è quello che la gente ci chiede: essere difesa e protetta nel momento in cui si affida agli investigatori.

È il modo migliore per ricordare Libero Grassi che 29 anni fa venne ucciso per il suo "no" al pizzo ma anche perchè lasciato solo. Allora la paura era tanta e nessuno collaborava.
Libero Grassi ha avuto il coraggio come pochissimi potevano fare, di denunciare quello che avrebbe potuto determinare conseguenze ben più gravi. Oggi invece la forza è la massa, la consapevolezza di non essere soli, di essere più tutelati e di essere in diversi a fare questa scelta. Quindi noi auspichiamo che siano sempre di più perchè più sono a rivolgersi a noi e più naturalmente la "controparte" mafiosa si trova in difficoltà perchè gli togliamo il bacino di galleggiamento.

Però i mafiosi ancora ci provano. Comunque provano a farsi sentire. Come dimostra la vostra inchiesta continuano a chiedere il pizzo, a minacciare, a danneggiare.
L’esigenza di controllare il rione, il quartiere per loro è una necessità storica, vitale. Anche se hanno altre forme di sostentamento, quello di richiedere il pizzo rientra in quella forma di riconoscimento della società locale che è una delle tradizioni di "cosa nostra". Ed è lì che dobbiamo intervenire per interrompere il flusso.

Il pizzo, dunque, non è solo una questione economica.
Lo ripeto, hanno tante altre forme di finanziamento. Il pizzo ha invece una funzione di riconoscimento della loro funzione sociale sul territorio, di essere "qualcuno" nel quartiere in cui ciascuna "famiglia" esercita la sua autorità mafiosa.

Un ruolo particolarmente importante in questa fase di difficoltà economica, nella quale si presentano per "aiutare" e creare consenso.
Si presentano con una faccia meno violenta ma comunque non hanno smesso di dichiarare la propria violenza perchè tutti sanno chi sono sul territorio e confidano sempre su questa storica presenza che intimidisce anche senza mettere in pratica la violenza.

È dunque fondamentale essere al fianco delle vittime.
È la sensibilità che stiamo sviluppando e vediamo che paga molto. Farci vedere vicini alle vittime delle mafie e dare dimostrazione concreta di supporto anche psicologico a chi subisce la violenza mafiosa, diventa poi un volano di efficienza e di sicurezza delle persone, perchè naturalmente le voci girano nelle associazioni di categoria e questo è molto importante.



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