martedì 30 agosto 2022
L'associazione Addiopizzo; «in cambio del pizzo pagato chiedono servizi alla criminalità organizzata»
A 31 anni dalla morte di Grassi: "Oggi chi paga non è vittima ma connivente"
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«Estorsioni, oggi la maggior parte di chi paga è connivente con Cosa nostra». Lo denuncia con forza il Comitato Addiopizzo di Palermo. Ed è una denuncia molto grave. Gli ex ragazzi, che la notte tra il 28 e il 29 giugno 2004 riempirono le strade del centro di Palermo con centinaia di piccoli adesivi listati a lutto con su scritto: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità », tornano ad essere voce che denuncia e provoca. «I processi degli ultimi due decenni raccontano che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di commercianti e imprenditori che si sono opposti a cosa nostra. Tuttavia, a fronte di un fenomeno non più capillarmente diffuso, va ribadito come c’è ancora chi paga e non denuncia».

Ma non si tratta di vittime. «Oggi – scrive ancora Addiopizzo –, a differenza del passato, il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza. Emergono a più riprese dai processi relazioni di grave contiguità tra chi paga senza remore le estorsioni e Cosa nostra. Si tratta di commercianti e imprenditori che in cambio del pizzo pagato chiedono servizi alla criminalità organizzata».

L’elenco è lungo e inquietante: c’è chi paga e non denuncia perché si rivolge al suo estorsore per impedire l’apertura di concorrenti nel proprio quartiere oppure per recuperare crediti presso i propri clienti, dirimere vertenze con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato; c’è chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l’estorsore del rione. L’occasione della denuncia di Addiopizzo è il 31esimo anniversario dell’omicidio dell’imprenditore palermitano Libero Grassi, ucciso dalla mafia il 29 agosto 1991.

L’11 aprile dello stesso anno, in un’intervista a Michele Santoro, così aveva spiegato il suo no agli estorsori: «Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore. Io non pago perché non voglio dividere le mie scelte con i mafiosi ». Già, la dignità. Mentre come denuncia da tempo don Luigi Ciotti, «oggi il crimine organizzato si è trasformato in crimine normalizzato. Le mafie sono diventate uno dei tanti problemi».

E infatti, denunciano gli ex ragazzi di Addiopizzo, ora si vive «un momento in cui si registra un calo di interesse sui temi della lotta alle mafie nell’agenda elettorale dei partiti» mentre «la svolta deve riguardare anche chi si candida a rappresentare i cittadini che non può ignorare il tema della 'qualità del consenso'». Fu proprio Libero Grassi nell’aprile del 1991 a rilanciare tale questione sostenendo la necessità di mettere al bando «le cattive raccolte di voti». E invece in questo tempo vediamo illustri candidature di magistrati ed esponenti del mondo antimafia. Sbandierate come per dire «il mio candidato è più antimafia del tuo». Mentre c’è grande «disattenzione» su altre candidature borderline.

E nei programmi nulla o quasi. La mafia non c’è o non è trattata come priorità. O, anzi, il contrario, come l’abbassamento dei controlli per 'rilanciare l’economia' o la tolleranza sulle amministrazioni colluse: non sono pochi gli amministratori locali, sciolti per mafia, candidati ora a Camera e Senato. Troppi silenzi, troppi sì. Libero Grassi nella lettera 'Caro estorsore', pubblicata in prima pagina sul Giornale di Sicilia, il 10 gennaio 1991, scriveva: «Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al 'Geometra Anzalone' e diremo no a tutti quelli come lui». Pagò con la vita questa scelta coerente, questo no pieno di dignità. Scelse di restare un uomo libero.

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