giovedì 16 luglio 2020
La psicologa Caravita: necessaria una costante guida degli adulti. Corrado (Cei): «Ora un impegno educativo inderogabile»
Gli esperti: «Ma ci sono antidoti a questa violenza»
COMMENTA E CONDIVIDI

Prima che la Rete pervadesse ogni aspetto della realtà si parlava di film snuff, termine che in inglese indica l’atto di spegnere una candela, di estinguerne la fiamma. Erano video in cui le scene di tortura, sevizie, stupro e omicidio venivano proposte come realmente accadute e spesso lo erano davvero. L’evoluzione del fenomeno viaggia ora sul web e consiste in live showin cui gli spettatori possono guardare, interagire e perfino richiedere “prestazioni” in diretta.

Ma se prima a guardare questi film era soltanto chi poteva permettersi di commissionarli o di acquistarli, ora – e l’inchiesta di Siena lo dimostra – ne usufruiscono anche i minori. Basta un click sul dark web, un meccanismo di pagamento con criptovalute e si può entrare nelle video chat dell’orrore, le red room (letteralmente stanze rosse), come vengono chiamate. Siamo oltre il bullismo e il cyberbullismo, le cui dinamiche, anche quelle con esiti tragici, sono legate al desiderio di ragazzi difficili di cercare attenzione, affermazione, conferme. In questo caso i ragazzi guardano e richiedono azioni violente.

Come è possibile? «In adolescenza c’è una fase naturale di esplorazione della propria identità, sessualità, vita affettiva. Se non c’è una guida da parte degli adulti, anche la ricerca di emozioni può portare a esplorare situazioni estreme – ragiona Simona Caravita, docente di Psicologia della sviluppo dell’Università Cattolica –. Dall’altro lato c’è l’attrazione che la violenza può esercitare nei confronti dei ragazzi. Colpisce che interagiscano in situazioni live e che ci sia una partecipazione ».

Cercare di individuare le cause di un “interesse” del genere è un esercizio complesso, ma è certo che fattori ambientali e familiari giocano un ruolo fondamentale. «Osservando quello che accade anche nei media, la rappresentazione della sessualità e della violenza risultano stimoli molto attraenti, che suscitano anche delle reazioni fisiologiche – continua Caravita – . Se non c’è dietro un’adeguata educazione all’affettività da parte degli adulti, le persone possono cadere in queste situazioni estreme che portano anche al desiderio di partecipazione.

Un certo fascino, purtroppo, è connaturato al male, fa parte della natura istintuale dell’essere umano. Se lo sviluppo non è supportato da un’educazione morale, si può arrivare a situazioni estreme». C’è poi il pericolo della dipendenza, che può favorire la reiterazione e la diffusione di queste pratiche, assieme alla facilità d’accesso dovuta alla diffusione del web e dell’utilizzo delle tecnologie connesse: «È un circolo: l’esposizione ad immagini violente può produrre il desiderio di cercarne sempre di più e ogni volta di andare sempre oltre – spiega ancora la dottoressa –. La violenza crea eccitazione, così come la crea la pornografia. Questo fenomeno non è nuovo, ma mentre una volta non era facile accedere a questo tipo di materiale adesso le nuove tecnologie rendono questo tipo di partecipazione molto più semplice.

Se non c’è una guida costante a livello familiare e a livello della comunità, se manca un’azione educativa forte, si rischia di cadere in balia di queste emozioni». Il problema è che, al contrario, il controllo si è fatto sempre più difficile, anche da parte delle famiglie. Ciononostante, per usare le parole del direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, Vincenzo Corrado, «le cronache che mettono in risalto il trascinamento dei nostri ragazzi nella ragnatela delle dinamiche anche controverse di internet, non sono solo un campanello d’allarme, ma ribadiscono un impegno educativo inderogabile. Un’opera formativa ed educativa che coinvolge in modo particolare gli adulti per padroneggiare e abitare i nuovi ambienti digitali».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: