mercoledì 6 ottobre 2021
Bonaccini, presidente dell'Emilia-Romagna: la Lega? Ora sia responsabile. Se Conte va avanti, l'alleanza sarà la regola. A Calenda dico: casa sua è qui
Stefano Bonaccini.

Stefano Bonaccini. - Ansa

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Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, con la sua vittoria alle regionali del gennaio 2020 fu il primo a dare il segnale di un’inversione di rotta nel Paese che, stando ai sondaggi, assisteva all’avanzata del centrodestra. Per questo è uno dei personaggi più indicati per leggere i risultati del 3-4 ottobre e anche le 'ricadute' leghiste di ieri. «C’è un successo netto del Pd e del centrosinistra nelle città – dice Bonaccini –, per merito di candidati credibili, programmi di qualità e alleanze costruite nel territorio. Al contrario, la destra ha messo in campo candidature catapultate da accordi fatti a tavolino. Dopodiché io non do per scontato nulla e guardo già ai ballottaggi».

Quanto la preoccupa la risposta di Salvini sul fisco?

Se la prima reazione alla sconfitta alle urne è disertare le riunioni di governo, allora si conferma che l’obiettivo non è fare il bene delle famiglie e delle imprese. Non si può stare al governo e fare ogni giorno opposizione. Spero prevalga la responsabilità.

A Bologna si sogna un nuovo Ulivo.

Vedo la necessità di riorganizzare un campo largo, aperto, civico e democratico, con un progetto per l’Italia che guardi all’Europa e alle sfide che investono la nostra società.

Ma basato su quali perni? Anche Prodi ha detto che non ci si può limitare ai diritti della persona.

Penso a un’agenda radicalmente progressista e democratica, basata a esempio sul creare lavoro e impresa di qualità nel tempo della transizione di- gitale ed ecologica; sul rafforzare il diritto universale alla salute e alla formazione, per contrastare le diseguaglianze e dare opportunità. In Emilia-Romagna non diamo lezioni a nessuno, ma siamo in prima linea su questi temi, è normale che qui maturino le condizioni per un salto di qualità politico che superi le contraddizioni avute nel centrosinistra. In questa agenda i diritti civili non sono il tutto, ma nemmeno un optional.

È credibile costruire un’alleanza organica con chi è passato dal “mai col Pd” al “mai con le destre”?

Nel M5s vedo un’evoluzione reale, sia sulla collocazione europea sia sul tema dei diritti, due discriminanti molto importanti. Se Conte porterà questa evoluzione alle sue logiche conseguenze, le alleanze potranno diventare la regola, anziché l’eccezione.

L’esempio della lista di Calenda, primo partito a Roma, non indica piuttosto un’altra area a cui guardare?

Non vedo questa divaricazione. A Roma, per le condizioni date di partenza, è mancata l’occasione o la capacità di portare a sintesi questo incontro. Calenda si oppone a una prospettiva ambigua che strizzi l’occhio al populismo, e su questo la penso come lui. Casa sua è qui, non certo con i sovranisti che rincorrono i no-vax.

Quanto la preoccupa l’astensione?

Cela un deficit di rappresentanza che riguarda tutti. Non c’è dubbio che molti elettori si siano trovati smarriti. Penso alla maggioranza degli elettori di centrodestra che non trova convincente lisciare il pelo ai no-vax o no Green pass in piena pandemia.

Cacciari dice che oggi i Comuni contano meno perché hanno prevalso le Regioni che sono «esempi di centralizzazione locali». È così?

È un problema che in Emilia-Romagna non si pone: la mia Regione non si è mai posta al di sopra o in competizione coi Comuni o le Province, ma al servizio. Il Paese deve viaggiare però alla stessa velocità e il tema c’è: ne sono testimone anche per la lunga esperienza da me fatta alla Conferenza delle Regioni, in collaborazione con Anci e Upi. Con equilibrio vanno distinti bene i compiti: rafforzando la potestà legislativa e programmatoria delle Regioni insieme a quella gestionale di Comuni ed enti locali.

Ha detto che il voto anticipato sarebbe un errore. Arrivare al 2023 può consentire al Pd di rafforzarsi?

Il problema non è rafforzare il Pd, ma fare il bene del Paese che ora prova a sconfiggere un virus che ha distrutto tante vite e quasi 10 punti di Pil, con imprese e posti di lavoro perduti.

Il Pd non rischia ora di diventare troppo 'draghiano'?

Se 'draghiani' significa essere fortemente europeisti, fare investimenti per il lavoro superando la stagione dell’austerity, potenziare scuola, sanità e politiche ambientali, allora non è un rischio, ma un successo. Non intendo mettere il cappello sul presidente Draghi, ma dico che è proprio con queste scelte che il Pd diventa più forte.

Serve un congresso del Pd nel 2022?

Andiamo per ordine. Letta sta facendo molto bene: la ricerca dell'unità interna del Pd sta procedendo di pari passo con quella di aggregare un centrosinistra più grande e alternativo alla destra. Ora ci sono i ballottaggi, poi avremo il passaggio cruciale del Quirinale, per eleggere un capo dello Stato all’altezza dell’impeccabile presidente Mattarella. Il nostro compito sarà tenere la barra dritta sull’interesse nazionale, rispetto a chi cercherà scorciatoie, magari mescolando l’elezione del presidente con la possibilità del voto anticipato. Solo dopo si aprirà il tema della nostra proposta diretta al Paese, su progetto e alleanze, e in che tempi avanzarla. Ne discuteremo bene se prima avremo fatto fino in fondo il nostro compito.

Chance di vittoria ai ballottaggi di Roma e Torino?

Sono fiducioso. L’unico errore da non commettere è dare per scontato il risultato. Restiamo tra le persone, come abbiamo fatto fin qui, e apriamoci al confronto con tutti, senza arroccarci nell’autosufficienza. Se i cittadini percepiranno questo, per noi sarà più facile.

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