mercoledì 16 marzo 2011
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Che cosa significa essere italiani? Abbiamo la percezione di appartenere a un popolo? Dove affondano le radici della nostra Nazione? Quali i valori tramandati dal Risorgimento? Sono tante le scuole che, in vista del 150esimo dell’Unità, stanno lavorando, in classe, intorno a queste domande che mettono i ragazzi direttamente di fronte al significato più profondo della ricorrenza di domani. «In queste settimane – spiega Angelo Rossi, dirigente del Liceo “Marconi” di Pescara – sono chiamato a parlare del 150esimo in tante scuole della provincia e mi sto accorgendo che l’interesse e l’attenzione dei ragazzi si concentra proprio sull’identità e sulle radici della nostra Italia e del nostro popolo. Più che i fatti e i personaggi storici, gli studenti sono colpiti da domande e provocazioni che li portano ad approfondire le ragioni più profonde della nostra storia identitaria».Un lavoro che il Ministero dell’Istruzione ha voluto accompagnare con una serie di iniziative studiate proprio per celebrare, anche a scuola, il 150esimo. Il progetto ha visto, tra l’altro, l’attivazione di due portali Internet (www.150anni.it e www.italia150.rai.it), con informazioni e strumenti di lavoro utili sia ai docenti che agli studenti per realizzare ricerche e approfondimenti. “Dai mille…a un milione”, è invece il tema di un altro progetto per valorizzare i viaggi d’istruzione finalizzati alla conoscenza dei luoghi dell’Unità. Per la prima volta, infine, verranno organizzate a Firenze le Olimpiadi della lingua italiana in collaborazione con l’Accademia della Crusca, per sottolineare l’importanza storica e attuale della lingua italiana che rappresenta uno dei collanti culturali più significativi del nostro Paese.Un legame che, però, non è ancora diventato patrimonio comune, come testimonia Graziella Biondi, docente di religione al Liceo classico “Spedalieri” di Catania. «Parlando coi ragazzi – sottolinea l’insegnante – si ha la netta sensazione che non conoscano affatto il significato di questa ricorrenza e le ragioni per celebrarla. Anzi, più d’uno, interrogato in proposito, mi ha candidamente risposto che “non c’è nulla da festeggiare se siamo ancora costretti ad emigrare al Nord per trovare un lavoro”. E, purtroppo, questa è una posizione piuttosto diffusa nella nostra scuola, dove il 150esimo non sta certamente riscuotendo consensi entusiastici. Parlando con colleghi di altri istituti, mi accorgo che questo vale anche per altre scuole superiori della città».Proprio a partire dalla delusione di questi ragazzi, si dovrà allora lavorare, anche sulla scorta di queste celebrazioni, per fare in modo che l’Italia sia davvero una e unita. E non soltanto per un giorno ogni centocinquant’anni.
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