sabato 25 gennaio 2014
​​Soldi all’estero. 160 miliardi nascosti oltre confine. Se ne stimano 4 di possibile gettito.​ Il metodo della collaborazione volontaria è più soft dello scudo, ma mette tutti con le spalle al muro. L’esperto: con accordi bilaterali e scambi di informazioni tra Paesi, impossibile farla franca.​
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È una strategia soft, ma mette con le spalle al muro. Perché, secondo il parere degli esperti, i 'furbetti' a­desso rischiano di non avere più scampo: o usciranno dall’illegalità o nel giro di un paio d’anni verranno beccati. Tertium non datur. La sfida del governo per favorire il rien­tro dei capitali italiani dall’estero è basa­ta sulla cosiddetta voluntary disclosure, ovvero la collaborazione volontaria.
È questo, infatti, il principio cardine del de­creto legge che ha ricevuto ieri il via libe­ra del Consiglio dei ministri. In pratica si tratta di un meccanismo che prevede per il contribuente il versamento in un’uni­ca soluzione delle somme dovute, rive­lando l’esatta consistenza dei propri red­diti e del patrimonio con tanto di prove documentali. Per regolarizzare la propria posizione in merito alle violazioni com­messe fino al 2013 si avrà un anno e mez­zo di tempo: il termine è fissato al 30 set­tembre 2015.
Come funziona concretamente? Sem­plice. Il pagamento garantisce al citta­dino di non essere perseguito per i co­siddetti reati dichiarativi. Le pene per la frode fiscale, invece, saranno ridotte del 50 per cento. Entro 30 giorni la procura della Repubblica competente verrà informata della conclusione positiva del­la procedura. Da questi elementi risulta piuttosto evi­dente che lo strumento messo in cam­po è ben diverso dallo scudo fiscale. «Non prevede alcuna forma di anoni­mato, amnistia o condono», precisano il premier Letta e il ministro dell’Econo­mia Saccomanni. Ma perché, viene da chiedersi, chi non ha sanato finora, beneficiando dei pre­cedenti scudi fiscali, dovrebbe farlo a­desso in modo spontaneo e senza scon­ti? «I possibili destinatari della norma devono capire che questo per loro è l’ul­timo treno e non possono perderlo - ri­sponde Alessandro Dragonetti, respon­sabile dell’area tax per lo studio di con­sulenza fiscale Bernoni Grant Thornton -.
Gli accordi bilaterali e gli scambi di informazioni tra Pae­si (compresi quelli fi­no a poco tempo fa considerati 'paradi­si fiscali') renderan­no praticamente im­possibile farla franca. Queste persone, dunque, non hanno altra scelta se non quella di pagare». Il rischio di 'confessare' non si limita al­le ripercussioni penali, divenute sempre più stringenti con il testo del governo. «Ci sono delinquenti che operano in un contesto di criminalità - aggiunge l’e­sperto - . Questi soggetti non potranno scegliere di ravvedersi e continueranno a rimanere fuori pista. Coloro che in que­sti anni non hanno pagato le tasse, se non approfittano dell’opportunità, re­steranno in compagnia solo di 'genta­glia', ovvero di personaggi che operano nella malavita. Sintetizzando si potreb­be dire che i 'furbetti' corrono il pericolo di essere associati ai furbastri, ai fara­butti, ai malviventi».
Non è facile fare una previsione di rien­tro con il nuovo trattamento. Ci si muo­ve su un terreno delicato e negli ultimi anni, attraverso strumenti diversi e più vantaggiosi economicamente, i risultati ottenuti non sono stati entusiasmanti. Per capirlo bisogna partire da quanto am­monta il 'tesoro' italiano nascosto oltre­confine. Gli ultimi dati ufficiali risalgono a uno studio di Bankitalia del 2011. Il do­cumento mette in evidenza come nel 2008 (prima dell’ultimo scudo fiscale) i capitali sotto forma di titoli di portafo­glio (fondi, azioni, obbligazioni) detenu­ti all’estero all’insaputa del nostro Fisco oscillassero 124 e i 194 miliardi.
Per ren­dersi conto dell’entità della somma basti pensare che equivale a una percentuale che va dal 7,9 al 12,4% del Pil. Nello stes­so testo - redatto dai ricercatori Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti - si sostiene che le regolarizzazioni (scudo) di titoli in por­tafoglio fossero quantificabili in 60 mi­liardi. Si escludevano, però, altri patri­moni come denaro contante, depositi in conto corrente, immobili. Ecco perché il conto complessivo potrebbe essere tra i 150 e i 200 miliardi. L’esecutivo spera di riuscire a recupera­re una somma sostanziosa. Alcune indi­screzioni parlano di un rientro tra i 10 e i 20 miliardi da cui si potrebbe ricavare un gettito di quasi 4 miliardi. Ma il tesoretto - se tutti i destinatari comprendessero che sono di fronte all’ultima spiaggia ­potrebbe anche essere più alto.​
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