sabato 23 ottobre 2021
L’intellettuale militante francese Lévy: oggi «gli uomini senza nome» sono i cristiani della Nigeria
Bernard-Henri Lévy in un fotogramma del suo ultimo documentario

Bernard-Henri Lévy in un fotogramma del suo ultimo documentario - .

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Gli «uomini senza nome» di oggi sono soprattutto «i cristiani nigeriani massacrati dalla 'pulizia etnica' operata da gruppi di Fulani islamici », sono le tante «vittime dimenticate da un’umanità mai così separata fra se stessa» come in questi tempi. Anche per questo resta necessaria l’Europa unita che, pur coi suoi limiti, nel prossimo futuro, ispirata da un leader come Mario Draghi, «potrà poggiare su 3 piedi», affiancando l’Italia al tradizionale asse renano. Personaggio iconico e per questo controverso, come può esserlo un filosofo e scrittore dal portafoglio miliardario (il padre, di origine ebrea, fece fortuna col commercio del legno), a 72 anni Bernard-Henri Lévy, che oggi si definisce un «centrista militante», fa un primo bilancio di una traversata umana che dal massimalismo sessantottino da tempo lo ha portato a un universalismo in nome del quale gira per il mondo. Nella sua divisa d’ordinanza (completo blu e camicia bianca aperta sul petto) è giunto a Roma per presentare il docufilm «Une autre idée du monde» e il libro «Sulla strada degli uomini senza nome» (esce giovedì per La nave di Teseo), che raccontano una serie di reportage negli angoli più 'caldi' del pianeta.

Chi sono oggi gli uomini senza nome?
Sono i cristiani nigeriani. Ma sono anche i curdi senza terra abbandonati da chi nega i loro diritti, i migranti di Lesbo, i profughi del Bangladesh, gli afghani. Sono quelle migliaia e migliaia di morti dei quali nessuno si interessa. I loro decessi non vengono nemmeno registrati, del loro passaggio sulla terra non resta traccia.

Cosa e perché li rende sempre più invisibili?
L’indifferenza che anestetizza le nostre coscienze, allettate dalle sirene dei sovranismi – che sono anche populismi – e dai fascismi, che sono di destra e di sinistra. E, ora, anche le paure del Covid.

I populismi sono in flessione?
Ho visto con favore i recenti risultati elettorali italiani. Ma in generale no, non credo che lo siano. Sono una piaga. Che cresce, come quest’idea che lo Stato di diritto abbia valore solo dentro lo Stato nazionale. In questo sono un radicale: non si possono accettare posizioni come quelle dell’Ungheria e della Polonia. Se a loro non sta bene, le porte dell’Ue sono sempre aperte.

L’Europa cerca di accogliere immigrati dalle zone di guerra o povere della Terra, ma stenta a integrarli. Dove sbaglia?
L’Europa manca di coraggio, di quella carità che è elemento fondante della civilizzazione, un pilastro oggi ignorato. Ospitalità è divenuta una nobile parola dimenticata. Io non sono per un’apertura incondizionata: sono conscio che gli Stati membri hanno dei confini fisici che non spariscono, ma al loro interno deve esserci uno spazio congruo per queste persone. Sono a favore delle quote fra Stati membri, finora mai applicate per volontà politica.


L’intellettuale a Roma per la Festa del Cinema: «Sono un centrista militante che cerca di dare risposte. Con Draghi il Vecchio Continente poggerà su tre piedi» «Sui migranti manca la carità. L’indifferenza anestetizza le coscienze, allettate dalle sirene dei populismi e dai fascismi, di destra e di sinistra. Con Ungheria e Polonia ci vuole radicalità»

Il 20 ottobre sono trascorsi 10 anni dalla morte di Gheddafi, evento che ha contribuito non poco al fenomeno migratorio. La cacciata del Ràis fu favorita dalla Francia, e da lei appoggiata. Se ne pente?
La morte di Gheddafi fu un errore e una mostruosità. Allo stesso modo fu giusto però supportare la volontà di libertà dei libici, come di altri popoli. La Francia? Non è vero che ebbe un ruolo preponderante.

Dentro l’Unione? Col via al Recovery fund sta tornando forte in Europa il peso del premier italiano Draghi. Parigi è disposta ad accettare un ruolo crescente dell’Italia
Mia convinzione è che il Trattato del Quirinale (che potrebbe essere firmato entro fine anno dai presidenti Macron e Mattarella, ndr) possa stabilire un nuovo equilibrio di poteri. Sarebbe un valido complemento al Trattato dell’Eliseo che disciplina la cooperazione franco-tedesca. L’Europa potrà poggiare così su tre piedi. Sono assolutamente a favore che cresca la forza politica di Draghi, che ha dimostrato visione, saggezza e volontà di affrontare i nodi. Se l’Europa non è crollata finora si deve a figure come lui, come Macron e come Angela Merkel.

Ha detto che il Covid è la prima 'Grande Paura' mondiale. Come si esce da questa paura?
Relativizzandola. Comprendendo che ci sono paure ben più grandi. La paura di chi vive sotto l’incubo dei droni di Erdogan nel Kurdistan siriano. La paura dei migranti che abbandonano tutto. La paura delle donne afghane che devono indossare di nuovo il burqa. Anche nella fase peggiore il rischio di morire di Covid era infinitamente minore. In Occidente non conosciamo però quelle altre paure. Per questo è fondamentale continuare a divulgare e a investire nella cultura.

C’è chi critica il suo attivismo.
Sono lo stesso di 50 anni fa. Non amo gli intellettuali che negli anni cambiano giacca né la falsa modestia di quelli che dicono di porre solo domande: io cerco di dare risposte. E comunque, come dico spesso, non ci si batte mai troppo contro i mulini a vento.

Come si racconta oggi l’essenza di un conflitto o di una crisi umanitaria?
Sempre andando direttamente nei posti e raccontando. È stata questa la mia scelta nell’anno della pandemia, anziché chiudermi in casa. Raccontare quello che il mondo tende a ignorare, a partire dall’eccidio dei cristiani in Nigeria e in Siria. È importante che Avvenire, giornale cattolico, lo faccia. Io sono pronto a dare il mio contributo.

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