giovedì 19 maggio 2011
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Colpa dell’individualismo. Sarà una semplificazione, però per Pierpaolo Donati, sociologo al­l’Università di Bologna e direttore del­l’Osservatorio nazionale sulla fami­glia, è questa la causa numero uno del calo drastico dei matrimoni registra­to dall’Istat tra il 2009 e il 2010. Ma pri­ma di tutto il curatore dei rapporti biennali del Cisf sulla famiglia si di­chiara “spaventato” da numeri che hanno l’aspetto di una Caporetto.Professor Donati, perché spaventa­to? Spaventa l’età media degli sposi al pri­mo matrimonio: 33 gli uomini e 30 le donne, sei anni più di quanto accadeva nel 1975... E dunque? Ciò contrasta con il ci­clo biologico della geni­torialità: se si alza l’età del matrimonio, si pre­sume che i bambini na­scano quando i genitori sono più an­ziani, con tutte le conseguenze note. Lo spavento è relativo, visto che l’Istat dice che sempre di più i figli nascono al di fuori del matrimonio...Sì, ma il modello italiano è ancora quello tradizionale. L’Istat sottolinea che nel 2009 il 21 per cento dei bam­bini è nato da coppie non sposate, ma dimentica che l’80 per cento dei figli nasce dentro il matrimonio, elemen­to che ci distingue da modelli nor­deuropei dove le percentuali sono quasi rovesciate. E poi l’Istat dimen­tica un’altra cosa... Cosa? Trovo incompleto che non si citi il fat­tore demografico: le persone nella fa- scia di età interessate sono sempre di meno, dunque è logico attendersi un calo dei matrimoni anche per questa causa. Comunque, i giovani sono sempre meno propensi a sposarsi. La preca­rietà è una della cause. Ma 50 anni fa, anche senza tante certezze, ci si spo­sava lo stesso. Cos’è cambiato?È vero, anche in situazioni ben più modeste di oggi, le coppie si sposa­vano lo stesso. Ma c’era una famiglia allargata, una comunità locale dentro la quale si era relativamente protetti. C’era la speranza di vivere, anche mo­destamente, ma all’interno di un tran tran rassicurante. Ma soprattutto non c’era l’ansia e la paura del futuro. Og­gi le aspettative di mobilità sociale e di successo sono così elevate che la precarietà viene vissuta in modo più angosciante. Sembra che non spaventi tanto la vi­ta a due, visto che sono in aumento le convivenze, quanto il prendere u­na decisione percepita come defini­tiva o quasi. Insomma è il “per sem­pre” che fa paura? Sì, oggi prevale una cultura che spin­ge a non prendere decisioni non dico stabili, ma nemmeno convinte. Sono generazioni di ragazzi che crescono nell’indecisione, nel disorientamen­to. D’altra parte, non avendo punti di riferimenti sicuri e stabili intorno a lo­ro, ragionano in termini di contin­genza, di possibilità. Tutto è possibi­le, niente è sicuro, dunque non si pos­sono prendere impegni certi. Il dibattito degli anni scorsi sulla le­galizzazione delle coppie di fatto con i Dico può aver avuto un influsso sul­le scelte (o non scelte) matrimoniali delle coppie? Dire che si potrebbero legalizzare le u­nioni di fatto certamente dà forza al­l’idea che il matrimonio non è indi­spensabile. Comunque, dietro i Pacs francesi o i contratti in vigore in altri Stati c’è un individualismo esaspera­to. Io credo che in definitiva dietro il calo dei matrimonio ci sia l’ideologia secondo la quale l’emancipa­zione passi attraverso quella che i sociologi chiamano l’in­dividualizzazione dell’indivi­duo. Il singolo, cioè, è sempre meno legato agli altri, a un progetto, a un’appartenenza culturale o sociale. Ma una so­cietà di legami deboli o di ri­fiuto dei legami è una società più fragile, che produce disastri indi­viduali e sociali. E poi c’è la scarsità di politiche fami­liari nel nostro Paese. Nemmeno que­sto aiuta la “reputazione” del matri­monio... Non attuando politiche per la fami­glia, il Paese dà un messaggio sconfor­tante e negativo. I giovani non vedo­no premiati, bensì penalizzati, il ma­trimonio e la famiglia. Chi si sposa pa­ga più tasse di chi non si sposa, chi ha figli paga più di chi non ne ha. Biso­gna che le politiche sociali si indiriz­zino a premiare, senza discriminare nessuno, chi si assume responsabi­lità, secondo regole di equità e di giu­stizia.
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