giovedì 23 gennaio 2014
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Ciò che non si riesce a far en­trare dalla porta lo si vuole, a tutti i costi, far passare dalla finestra. Si può spiegare soltanto co­sì, l’insistenza con cui l’Ufficio nazio­nale antidiscriminazioni razziali (U­nar), emanazione del Dipartimento per le Pari opportunità e le associa­zioni degli omosessuali, stanno lavo­rando ai fianchi il mondo della scuo­la per “costringere” insegnanti, stu­denti e famiglie ad occuparsi dell’i­deologia del gender e delle «discrimi­nazioni nei confronti delle comunità Lgbt». Come ha ammesso lo stesso presidente di Arcigay Milano, Marco Mori, in una recente intervista al : «Ab­biamo pochissime richieste» di inter­vento dalle scuole. E allora, se l’argo­mento non è ritenuto prioritario da chi la scuola la vive tutti i giorni, lo si vuole imporre per legge. Il primo passo è stato approvare, lo scorso 30 aprile, la “Strategia nazio­nale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’o­rientamento sessuale e sull’identità di genere” che prevede specifiche atti­vità nelle scuole, «a cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia». Per far in modo che le aule diventino «sicure e friendly» per le persone Lgbt, la Strategia prevede, tra l’altro, la «va­lorizzazione dell’expertise delle asso­ciazioni Lgbt in merito alla formazio­ne e sensibilizzazione dei docenti, de­gli studenti e delle famiglie, per po­tersi avvalere delle loro conoscenze e per rafforzare il legame con le reti lo­cali ». E il coinvolgimento diretto del­la comunità Lgbt riguarda tutte le mi­sure d’intervento previste dalla Stra­tegia. Che, invece, non dice nulla cir­ca la collaborazione con realtà, mol­to più numerose e rappresentative della società italiana, come il Forum delle associazioni familiari. Alla pari delle altre rappresentanze dei genito­ri impegnati nella scuola, il Forum non è nemmeno stato interpellato dagli e­stensori della Strategia. «La scelta de­gli interlocutori è stata volutamente molto selettiva», conferma il presi­dente del Forum, Francesco Belletti. La manovra di accerchiamento è pro­seguita con la legge “L’istruzione ri­parte”, approvata a novembre. L’arti­colo 16, che riguarda le «attività di for­mazione e aggiornamento obbliga­tori del personale scolastico», per il cui espletamento il Miur ha previsto uno stanziamento di 10 milioni di eu­ro, prevede, tra gli altri, anche inter­venti finalizzati «all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diver­sità e delle pari opportunità di gene­re e al superamento degli stereotipi di genere». Una formulazione «voluta­mente ambigua», per il presidente dei Giuristi per la vita, Gianfranco Ama­to, secondo cui il testo della legge e­vita, di proposito, di specificare che l’educazione all’affettività e le pari op­portunità di genere «riguardano e­sclusivamente il rapporto tra uomo e donna». Per Amato, insomma, si trat­ta di un «subdolo tentativo di intro­durre l’ideologia del gender in quella delicatissima funzione che è l’educa­zione scolastica».Come spesso accade quando si af­frontano questioni divisive, anche in questo caso il “pilastro” su cui poggia la strategia di coloro che stanno lavo­rando per l’ingresso dell’ideologia del gender nella scuola italiana è l’affer­mazione, quasi apodittica, «l’Europa lo vuole». Qui il “paravento” in que­stione è la Raccomandazione del Co­mitato dei Ministri CM/REC 5 del marzo 2010, tra l’altro recepita solo da Italia e Francia. Sempre del 2010 è an­che il documento dell’Oms Europa “Standard per l’educazione sessuale” – di cui ci siamo già occupati su que­ste pagine – che si basa su un «ap­proccio olistico» alla sessualità. Per il pedagogista dell’Università Cattolica, Vittore Mariani, si tratta di «un mo­dello antropologico estremamente ri­duttivo », che spinge l’individuo a «soddisfare i propri bisogni, pulsioni e istinti», unicamente «alla scoperta del piacere». Tutto il resto non conta.
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