sabato 6 febbraio 2021
Eletto l’esecutivo provvisorio. Mentre un nuovo report Onu accusa: « Torture, sparizioni forzate e violenza sessuale»
Migranti in un centro di detenzione in Libia

Migranti in un centro di detenzione in Libia - Immagine d’archivio

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Oltre 1.500 persone messe in mare nel Mediterraneo Centrale in 24 ore. Più di 1.000 sono salpati dalla sola Libia, da dove non arrivano notizie per circa 300 di loro. Notizie arrivate ieri a poche ore dal voto che ha sancito il rinnovo del consiglio presidenziale. E come accade spesso quando si ha a che fare con Tripoli, quasi niente è andato come previsto.

Il ministro dell’Interno Fathi Bashaga, l’uomo forte che fra gli altri ha fatto arrestare il supertrafficante “Bija”, era il nome su cui puntava l’Onu per il ruolo di premier, in tandem con Aquila Saleh, candidato presidente del Consiglio. Invece Mohammad Menfi è stato eletto a capo del Consiglio presidenziale libico, mentre Abdul Hamid Dbeibah sarà il primo ministro fino alle elezioni del prossimo 24 dicembre. Una vittoria che in parte premia le spinte dalla Cirenaica del generale Haftar, sponsorizzato soprattutto da Russia ed Egitto.

Nel ventre molle delle milizie, la gran parte delle quali coinvolte nel traffico di esseri umani, petrolio, armi e droga, questo risultato potrebbe risvegliare tensioni solo provvisoriamente tenute a bada. Tanto più che il mufti libico, lo sceicco Al-Saddiq Al-Gharyani, ha criticato l'attuale assetto del “Forum per il dialogo”, l’organismo che da Ginevra ha espresso il voto di ieri, sostenendo che i suoi 75 membri non rappresentano il popolo libico, ma rispondono a criteri imposti dalla missione Onu (Unsmil). Un anno fa lo sceicco aveva esortato i combattenti anti Haftar ad immolarsi, se necessario, con attacchi kamikaze.

Il ministro degli Interni uscente, Bashaga, nelle settimane scorse si era recato in Italia per una serie di incontri. Bashaga ha istituito una forza marittima “alternativa” alla cosiddetta Guardia costiera libica, offrendo all’Italia maggiori garanzie, soprattutto dopo che gran parte delle motovedette donate da Roma sono passate sotto il controllo della Turchia. Il Gasc, la polizia del mare che risponde al ministero dell’Interno, ha inviato suoi ufficiali ad addestrarsi a Gaeta. Ma ora la “caduta” di Bashaga potrebbe ancora una volta vanificare la sponsorizzazione italiana e riaccendere le tensioni.

Il nuovo premier Dbeibah, laureato in Ingegneria a Toronto, ai tempi del colonnello Gheddafi aveva guidato la più grande società di costruzioni e lavori pubblici libica, collaborando strettamente con Seif al-Islam, figlio e delfino del dittatore. Seif, pur ricercato dalla Corte penale dell’Aja, gode di ottime protezioni in Libia e viene considerato essenziale per tenere in equilibrio, seppur precario, il sistema di tribù e milizie.

Intanto nelle stesse ore i boss del traffico di esseri umani hanno messo in acqua numerosi barconi. Tra le persone riportate in Libia, ci sono almeno 179 delle 600 che l’aereo Moonbird aveva avvistato su 8 imbarcazioni in pericolo, ma 65 sono arrivate a Lampedusa. Ieri mattina la Ocean Viking, di Sos Mediterranée, ha completato il soccorso di 121 persone da un gommone a 30 miglia nautiche da Al Khoms. Tra i sopravvissuti ci sono 19 donne e 57 minori di cui 2 bambini piccoli e 55 i minori non accompagnati. Almeno tre donne sono incinte (altre potrebbero essere confermate in una fase successiva) e 15 donne viaggiano da sole. Le quattro nazionalità più rappresentate delle persone soccorse sono: Sudan, Costa d’Avorio, Mali e Guinea Conakry. Altre 45 persone sono state soccorse da Open Arms e sono state poi trasferite su una motovedetta della GUardia costiera italana che le ha portate in salvo a Lampedusa.

«Un giovane della Guinea ha spiegato al nostro team medico a bordo di essere stato trattenuto in un centro di detenzione in Libia per 9 mesi - spiegano da Sos Mediterranée -. Racconta di essere stato picchiato con bastoni di metallo riscaldati. Una delle sue gambe si è fratturata due anni fa. Non ha mai ricevuto cure mediche e la sua gamba è ora deformata. L’altra gamba mostra cicatrici dovute alle violenze subite in Libia».

Appena pochi giorni fa il segretario Antonio Guterres ha firmato un nuovo rapporto sulle terribili condizioni dei diritti umani nel Paese. Nel dossier vengono ancora una volta menzionate la «tortura, la privazione di cibo e dell’assistenza sanitaria», oltre a «sparizioni forzate e violenza sessuale» nei centri di detenzione gestiti direttamente dalla “Direzione per la lotta alla migrazione illegale”. Eppure Paesi come l’Italia, che potrebbero presto riconfermare stanziamenti e cooperazione antinmigrazione, sostengono che a Tripoli ci siano segni di cambiamento. Al contrario, «il numero di persone trattenute in detenzione nei centri per migranti – scrive Guterres – è aumentato» a causa di più operazioni in mare. Nel 2020, più di 11.900 migranti e rifugiati sono stati intercettati e fatti sbarcare in Libia (erano state 9.200 nel 2019). Superstiti ai naufragi «spesso trasferiti in modo arbitrario in centri di detenzione abusivi, mentre altri sono scomparsi del tutto».

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