venerdì 16 luglio 2021
Mentre il Parlamento votava il "si" al rifinanziamento dei guardacoste, il capo della missione a Tripoli si rivolgeva invano a Italia, Malta e Ue: “Dovrebbero rivedere le loro politiche"
Jan Kubis, capo della missione Onu in Libia (Unsmil)

Jan Kubis, capo della missione Onu in Libia (Unsmil) - United Nation

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A Tripoli le Nazioni Unite hanno un problema in più: l’Italia. “Gli Stati membri che sostengono le operazioni di rimpatrio delle persone in Libia dovrebbero rivedere le loro politiche, dovrebbero tenere presente che i migranti e i rifugiati continuano ad affrontare un rischio molto reale di tortura e violenza sessuale, se rimpatriati sulle coste libiche”. Nelle ore in cui il Parlamento italiano su proposta del governo votava a larga maggioranza il rifinanziamento della cosiddetta guardia costiera libica, l’inviato del segretario generale Onu in Libia, Jan Kubis, implorava davanti al Consiglio di sicurezza lo stop alla cooperazione nei respingimenti dei migranti. Invano.

“La situazione dei migranti e dei rifugiati in Libia rimane terribile”, ha detto il diplomatico slovacco a capo dell’ufficio di Tripoli (Unsmil). “C'è una crescita drammatica del numero di migranti e rifugiati detenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali, senza controllo giudiziario, e spesso tenuti in condizioni disumane”. Un far west che fa perdere le tracce di migliaia di persone. Sparite, vendute, uccise. Dall’inizio dell’anno secondo le agenzie umanitarie Onu sono state catturate in mare e riportate nei campi di prigionia 16.026 persone. Tra questi almeno 386 minorenni maschi e 176 ragazzine. Eppure, riferisce ancora Kubis, “si stima che alla data del 21 giugno 6.377 migranti e rifugiati fossero detenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali in tutto il Paese, con un aumento del 550 per cento da gennaio 2021”. Si parla di “stime” perché le autorità di Tripoli non sono in grado di far sapere quante persone si trovino esattamente in detenzione nelle prigioni statali. Soprattutto, vuol dire che di 10mila persone riportate a terra e inizialmente condotte in arresto non si sa più nulla.

Seabird / Sea Watch

Il governo libico non ha la minima intenzione di lasciarsi controllare dalle autorità internazionali. Da anni gli operatori Onu chiedono di poter accedere ai centri di detenzione, per verificare che vengano rispettati gli impegni umanitari e al contempo assistere direttamente le persone imprigionate. Al contrario “le Nazioni Unite e altre agenzie - ha denunciato Kubis - continuano ad affrontare restrizioni da parte delle autorità libiche sull'accesso umanitario e per il monitoraggio dei diritti umani nei centri di detenzione”.

Cosa ci sia da nascondere, lo stesso inviato Onu lo suggerisce senza iperboli: “A giugno l’Unsmil ha ricevuto altri rapporti scioccanti di violenza sessuale contro ragazze e ragazzi minorenni nei centri di detenzione ufficiali per migranti”.

Con il voto del Parlamento italiano la missione Onu ne esce indebolita. “Ribadisco che la Libia non è un porto di sbarco sicuro per migranti e rifugiati”, ha ribadito Kubis riferendosi specialmente a Italia, Malta e Ue: “Gli Stati membri che sostengono le operazioni di rimpatrio in Libia dovrebbero rivedere le loro politiche”. In altre parole, quei Paesi “membri delle Nazioni Unite che hanno influenza, devono fare di più per prevenire questi crimini”.

I colpevoli stavolta non vengono indicati genericamente negli appartenenti alle milizie, una definizione spesso usata a Roma come a Bruxelles per giustificare il sostegno alla guardia costiera e alle polizie a terra: “Incoraggio coloro che forniscono sostegno alle agenzie di sicurezza libiche che si presume siano coinvolte in queste violazioni ad assumersi le proprie responsabilità e a prendere tutte le misure possibili per prevenire una condotta così vergognosa”. Poco dopo è arrivata la risposta del Parlamento italiano.

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