giovedì 20 maggio 2021
Sì da sinistra alla proposta del segretario Dem. Ma il premier: non ne abbiamo parlato, è il momento di dare e non di prendere
Enrico Letta a Palazzo Chigi

Enrico Letta a Palazzo Chigi - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Se l’obiettivo era compattare la sinistra, Enrico Letta ha segnato un punto. Se, invece, era condizionare l’agenda economica del governo, il segretario dem ha dovuto fare i conti con un garbato ma secco «no» del premier Mario Draghi. Di certo, la proposta di una "dote" da 10mila euro ai 18enni dei ceti medio-bassi ricavata dall’aumento delle tasse di successione dei ricchi si candida a diventare un altro dei punti (insieme ai diritti civili, allo ius soli, alla questione migranti) sui quali, da settembre in poi, potrebbe consumarsi la resa dei conti tra la parte sinistra e la parte destra dell’esecutivo.

Il tam tam sul nuovo cavallo di battaglia dem parte dal mattino e si concretizza con un tweet da Bruxelles di Letta, 90 minuti prima che inizi la conferenza stampa di Draghi sul nuovo dl Imprese. «Su 7 del Corriere lancio la proposta di dote per i diciottenni. Per la generazione più in crisi un aiuto concreto per studi, lavoro, casa. Per essere seri va finanziata non a debito ma chiedendo all’1% più ricco del Paese di pagarla con la tassa di successione». A Draghi non deve essere piaciuto molto il modo, se è vero che ai cronisti dice, apertamente, che con Letta «non ne abbiamo mai parlato, in generale non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli».

Pochi minuti dopo, durante un evento del Pd sul precariato, il segretario rilancia la proposta e non replica a Draghi. Solo più tardi arriva dal Nazareno una risposta al premier: il Pd, si spiega, è il partito che assicura il sostegno più leale al governo, ma dire che l’1% della popolazione può restituire qualcosa ai giovani è un dovere. Il ragionamento di Letta è comparativo: in tutto il mondo, è la linea dem, le classi dirigenti puntano sulla redistribuzione, il Pd porterà quindi avanti le sue battaglie sui diritti sociali e i diritti civili perché «questo fa un grande partito progressista del XXI secolo».

Il botta e risposta con Draghi, c’è da scommetterci, si fermerà qui. Quello che non si fermerà è lo scontro duro con i partiti di centrodestra. Ancora prima che il premier dicesse la sua, Forza Italia con il capogruppo alla Camera Roberto Occhiuto aveva "avvisato" Letta: «Con noi al governo si scordi qualsiasi irricevibile aumento di tasse». Dopo le parole di Draghi, invece, si scatena Salvini: «Piena sintonia» con Palazzo Chigi, commenta il capo della Lega. «Draghi ha stoppato Letta da grande libero, come Baresi», ironizza l’ex ministro dell’Interno. E anche Giorgia Meloni "plaude" alla risposta del presidente del Consiglio.

È da sinistra, invece, che Letta riceve consensi. Anche da Nicola Fratoianni, Sinistra italiana, che è fuori dalla maggioranza. A difenderlo, e a pungere Draghi, arriva il vicesegretario dem Peppe Provenzano che ricorda come di misure del genere stia parlando anche Biden: la "dote", dice, è un «dare» ai giovani, altro che «prendere». Tace il potenziale alleato del Pd, M5s, che sulle tasse non sempre è in sintonia con i dem.

Più sinergia con i pentastellati potrebbe esserci invece sull’altra proposta del Pd, quella sugli stage. «Da strumento di formazione sono diventati l’unica via per trovare un lavoro», rimarca Letta. E allora «devono essere vietati quelli che nascondono precarietà e sfruttamento, sostituendoli con un apprendistato più semplice e conveniente». Stop quindi agli stage non retribuiti e sganciati da scuola e università, e per quanto riguarda gli apprendistati decontribuzione totale per quelli che si trasformano in lavoro stabile e introduzione di due ulteriori finestre per chiudere il rapporto di lavoro.


COME SAREBBE IL MECCANISMO
Un assegno da 10mila euro per la metà dei 18enni pagato dall’1% più ricco

La proposta del Pd (vi hanno lavorato anche l’ex viceministro e responsabile economico, Antonio Misiani, e la responsabile giovani Chiara Gribaudo) punta a creare una dote di 10mila euro una tantum per la metà circa dei 18enni italiani perché sarebbe vincolata al criterio dell’Isee famigliare. Tutti i dettagli restano da definire, ma la misura è pensata per la 'generazione Covid', cioè coloro che oggi hanno fra i 13 e i 17 anni. Ogni anno l’assegno arriverà a circa 280mila ragazze e ragazzi (al 1° gennaio 2021 le persone di 18 anni d’età erano infatti 566mila). Nelle stime la dote avrebbe un costo di 2,8 miliardi. Sarebbe finanziata da un aumento dell’imposta di successione a carico soltanto dell’1% degli italiani: la revisione delle aliquote sarebbe nel senso di una maggiore progressività rispetto a oggi, mantenendo però la franchigia di un milione di euro che c’è oggi (per ogni erede) e portando al 20% la tassazione massima per le eredità e donazioni tra genitori e figli sopra i 5 milioni di euro. Oltre all’Isee di famiglia, l’unico altro vincolo sarebbe quello di destinazione: la somma andrebbe spesa per costi universitari o di formazione e istruzione (anche per pagarsi l’alloggio, se si studia fuori casa) o per avviare una piccola impresa. Oggi in Italia si paga il 4%, per l’eredità in favore del coniuge o di parenti in linea retta; il 6%, in favore di fratelli o sorelle (in questo caso con franchigia di 100mila euro per ciascun beneficiario); sempre il 6% in favore di altri parenti fino al quarto grado; fino all’8%, per le somme trasferite in favore di tutti gli altri soggetti, senza alcuna franchigia.


Come funziona l’imposta all’estero
Oggi dalle tasse di successione l’Italia incassa circa 800 milioni di euro. Molto meno dei 6 miliardi della Gran Bretagna, dei 7 della Germania e addirittura dei 14 miliardi che si ricavano in Francia. Questo è dovuto al fatto che l’aliquota di tassazione è tra le più basse d’Europa: appena il 4% tra genitori e figli (e con franchigia). Per restare nel continente, in Germania la tassa di successione oscilla tra il 7% e il 30%, in Gran Bretagna l’ Inheritance Tax Act del 1984 applica un livello del 40%, mentre in Francia l’aliquota varia dal 5 al 60% con un valore medio del 45 per cento. Questo significa che, nel caso in cui venga lasciato in eredità un milione di euro, la somma da pagare (tenendo conto delle rispettive franchigie esenti) è in Italia di zero euro, all’incirca di 75mila euro in Germania, in Francia di 195mila e in Gran Bretagna di 250mila euro. Estendendo l’analisi anche ad altri Paesi, possiamo vedere come il Belgio ha un’imposta sulla successione che oscilla tra il 30% e l’80%, la Finlandia tra il 13% e il 32%, e la Spagna tra il 34% e una punta massima (nei casi estremi) che arriva fino all’86%.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: