domenica 14 marzo 2021
Eletto con 860 sì. Dice di aver trovato un partito molto diviso che vuol riunire. Le sfide: voto ai 16enni e Ius soli. Rilancia il Mattarellum e annuncia proposta anti-trasformismo
Enrico Letta in assemblea.

Enrico Letta in assemblea. - Ansa

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Il nuovo segretario c'è, per il partito nuovo i lavori sono da avviare. Enrico Letta è il leader del Pd dopo Zingaretti. Eletto dall'assemblea svoltasi in via telematica con il solito unanimismo che lui per primo ha condannato nei giorni scorsi: 860 sì, con soli 2 no e 4 astenuti. In attesa di capire se questo consenso sarà reale o solo di facciata, l'ex premier rientrato apposta da Parigi comincia a sferzare le correnti interne scandendo che «non possiamo essere il partito del potere». Il neo-segretario si candida a plasmare un "nuovo partito" che sappia aprirsi, dia più spazio alle donne, piaccia ai giovani. E, soprattutto, che vinca perché, analizza, «ho trovato un Pd più piccolo, convinto che si perda alle prossime elezioni e molto diviso». Lui invece punta a vincere sulle orme dell’Ulivo di Prodi, con una coalizione di centrosinistra «espansa» da Roberto Speranza a Matteo Renzi e pronta ad allearsi con «il M5s di Giuseppe Conte». Letta archivia poi la proposta zingarettiana del proporzionale e prova a rilanciare il Mattarellum. L’orizzonte è il 2023, appunto: battere Giorgia Meloni e Matteo Salvini, sfidandoli fin da ora su temi come lo ius soli, il voto ai 16enni, il superamento del trasformismo.
Ma il primo ostacolo da superare è quello interno, la sfida è trasformare le correnti, per rifondare un soggetto che sia «progressista nei valori, riformista nel metodo e radicale nei comportamenti tra di noi». L’ex premier ci prova: discussione nei circoli e verifica nei gruppi parlamentari sono il primo atto. «Farò quanto detto, senza sconti a nessuno», assicura. Letta non esclude di candidarsi alla Camera alle suppletive d’autunno a Siena, anche perché torna al Pd da «uomo libero», senza più alcuno stipendio avendo rinunciato a tutti gli incarichi retribuiti. Dice di sentire il peso di chiamarsi Enrico, come Berlinguer. Colloca Romano Prodi, Jacques Delors e Nino Andreatta nel suo pantheon. Cita il Papa e Mattarella come riferimento nella pandemia. Ringrazia Nicola Zingaretti. «Scelgo il partito», dice quasi come fosse un atto di fede. Poi impugna «anima e cacciavite» per cambiarlo, perchè «se diventiamo il partito del potere moriamo, dobbiamo vincere le elezioni e non aver paura dell’opposizione».

Letta rimette piede al Nazareno, con tanto di selfie in ascensore, a sette anni dalla cacciata da Palazzo Chigi e dopo il lungo "esilio" parigino. «Sono stato uomo di corrente, ma ora non mi ci oriento neanche io, così non funziona», dice ai capicorrente e delegati semplici che lo ascoltano in streaming. Giù la maschera, chiede citando Pirandello. «Ho ricevuto più messaggi in pochi giorni che in sette anni, ma non arrivo sulle ali dell’esaltazione», afferma. Il governo Draghi è il nostro, ne siamo il motore», rivendica Letta, che ha sentito il premier in settimana. Dal Recovery plan strutturale alla sostenibilità ai diritti coniuga il suo europeismo. Parla di «economia di condivisione" e progressività fiscale. Di povertà e giustizia. Chiede il voto per i sedicenni e sfida Matteo Salvini sul terreno dello ius soli: è lui - dice - a dover spiegare perchè sostiene questo esecutivo. L’ex premier propone la cittadinanza italiana ed europea a Patrick Zaki. Ed elenca quattro riforme per curare una democrazia «malata»: una proposta per limitare il trasformismo che presenterà in settimana (ma senza eliminare il divieto di vincolo di mandato), la sfiducia costruttiva e la legge sui partiti. Il nuovo segretario propone infine, superando la stagione zingarettiana, di archiviare l’idea del proporzionale e rilanciare il Mattarellum e lo schema di coalizione. Sono proposte che Letta dettaglierà nel vademecum che invierà ai circoli per una discussione di due settimane, che precederà una nuova assemblea. Intanto il segretario avvierà una verifica sulla linea nei gruppi parlamentari di Camera, Senato ed Europarlamento. Perciò circola l’ipotesi - che non trova conferme - che i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio si dimettano, come fatto dopo l’elezione di Zingaretti, per venire magari rieletti. Quanto al partito, Letta lancia l’idea di una "Università Democratica", una scuola di formazione cui partecipino anche i dirigenti, e di piazze digitali per allargare la partecipazione. Il modello, avverte, non è Rousseau né il leaderismo: giovani al centro, insiste, spiegando che ne avrà molti al suo fianco. E affronterà di petto il problema della parità di genere. Sulla segreteria Letta fa capire che sceglierà lui e intanto annuncia due deleghe alle Pmi e alla «prossimità».
E declina a modo suo la vocazione maggioritaria, come coalizione che vinca alle comunali e poi nel 2023: «Parlerò con Speranza, con Bonino, con Calenda, con Renzi, con Bonelli, Fratoianni, con la società», dice. Assicura che parlerà con le Sardine. E annuncia un incontro con il M5s di Conte, per confrontarsi «con rispetto e ambizione», senza subalternità. I potenziali alleati danno la disponibilità al dialogo: «Assolutamente necessario il confronto e il comune impegno per il bene del Paese», scrive Conte su Twitter. «Insieme abbiamo obiettivi importanti», dice Luigi Di Maio. Renzi non interviene, per Iv parla Ettore Rosato: «Possiamo e dobbiamo lavorare insieme». «Scelga tra noi e il M5s», insiste però da Azione Carlo Calenda. Quanto al Pd, tutte le correnti salutano con più o meno entusiasmo il nuovo segretario, che hanno votato. «Ora lealtà e passione per il bene dell’Italia», afferma Zingaretti, mentre i delegati si chiedono a chi appartengano i due soli voti contrari. Le divergenze promettono di riemergere presto.

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