mercoledì 24 novembre 2021
A un passo dal traguardo la norma che vieta investimenti nelle imprese produttrici di armi. La Proposta di legge 1813 è ora all'ordine del giorno alla Camera, dopo una lunga sosta in commissione
Artificieri al lavoro in Afghanistan in una immagine del 2018

Artificieri al lavoro in Afghanistan in una immagine del 2018 - Ansa

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È a un passo dal traguardo la legge che vieta investimenti finanziari nelle industrie di mine anti-persona e bombe a grappolo. Dopo un interminabile sosta in commissione Bilancio alla Camera, a causa di un parere del ministero delle Finanze che si è fatto attendere ben 12 mesi, la proposta di legge 1813 è da ieri all’ordine del giorno dei lavori dell’aula alla Camera. Al massimo entro la prossima settimana dovrebbe arrivare il sì definitivo. Sarà un tassello normativo molto importante per ostacolare, anche fuori dai confini nazionali, la produzione di ordigni letali e infidi, capaci di uccidere e mutilare civili anche dopo molti anni dalla fine dei conflitti.

L’iter della proposta di legge 1813 ha dell’incredibile. Depositata nel 2010, è approvata dal Senato nel 2016, e dalla Camera – definitivamente – nel 2017. Il presidente della Repubblica però deve rinviarla alle Camere, per un vulnus costituzionale. Nel 2019 il Senato modifica il testo secondo i rilievi del Quirinale e lo approva. Arriva alla Camera nell’autunno del 2020, un anno fa. Per chiudere la partita ci vorrebbero poche settimane, ma il testo si impantana. Non per colpa dei legislatori, che hanno sempre espresso un ampio consenso e nessun voto contrario.


Il sì potrebbe arrivare già la settimana prossima
dopo un iter che ha dell’incredibile:
depositata nel 2010, è stata approvata
dal Senato nel 2016, e dalla Camera nel 2017,
dopo lo stop per un vulnus costituzionale

La commissione Bilancio infatti deve aspettare una relazione tecnica dal ministero dell’Economia e delle finanze. «Entro 30 giorni», stabilisce la legge. Peccato che i 30 giorni, inspiegabilmente, si dilatino a dismisura. Dal Mef arrivano rilievi, critiche, eccezioni.
La legge infatti, a detta del ministero, provocherebbe un onere finanziario agli organismi di controllo (Commissione di vigilanza sui fondi pensione, Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, Banca d’Italia), chiamate a stilare un elenco delle aziende produttrici. Un onere tale, dicono, che il testo del progetto di legge andrebbe riformulato con modifiche proposte dal dicastero. Con la conseguenza devastante di farlo tornare al Via, come al Monopoli. Un rinvio di anni. «Ogni costo, per quanto piccolo sia, va coperto», ha insistito in commissione il sottosegretario per l’Economia Federico Freni. «Anche se fossero i 12mila euro – ha detto – cui fa riferimento l’onorevole Massimo Ungaro». «Un costo risibile», la risposta del relatore di Italia Viva, che cita la spesa affrontata in Francia per lo stesso scopo. Niente, insomma, che valga un ennesimo rinvio alle Camere.

E i 30 giorni diventati 365? «Sapete bene – la replica del sottosegretario Freni – a quale stress normativo sono stati sottoposti gli uffici del ministero dell’Economia: il 2020 e il 2021 non sono stati due anni normali». Ma perché, ha chiesto Ungaro, «se questi rilievi tecnici sono così fondamentali, il Mef non l’ha detto prima?». Cioè durante i ben quattro passaggi alle Camere? «Capisce sottosegretario – la conclusione di Ungaro – che è difficile convincere un osservatore esterno, che potrebbe vedere in questo un tentativo, forse, di natura ostruzionistica e non propriamente tecnica». Per evitare fraintendimenti, il parere finalmente è arrivato. Tra pochi giorni il testo potrebbe mettere uno stop a chi specula sulle mine ammazza-bambini.

DA SAPERE

Un giro da 31 miliardi e 5mila morti l'anno

L’Italia fino agli anni ’90 è stata uno dei maggiori produttori mondiali di mine anti-persona. Nel 1997 ha aderito alla Convenzione di Ottawa che mette al bando questi ordigni. Nel 2010 anche alla Convenzione di Oslo contro le cluster-bombs, bombe che lanciano grappoli di ordigni, spesso inesplosi a terra, letali come le mine. Nonostante i trattati internazionali, sette aziende ancora producono mine anti-persona in Brasile, India, Cina e Corea del Sud. La legge che sta per essere approvata – salvo sorprese – risponde a uno degli impegni assunti nei due trattati. Oggi, secondo il “Land mine monitor”, sono 31 i miliardi di dollari investiti negli ultimi quattro anni, 110 le istituzioni finanziarie, assicurazioni, fondi pensione, che a livello globale finanziano la produzione di questo tipo di armi. La legge 1813, è evidente, darebbe fastidio a chi finora ha lucrato sugli investimenti nelle fabbriche che producono trappole che ammazzano e strappano arti. In Yemen e Siria, ma anche in Afghanistan, Colombia, Iraq, Mali, Nigeria, Birmania, Siria, Ucraina. Ogni anno oltre 5mila morti, per il 92% civili, circa la metà bambini. Ma sono anche un ostacolo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, in Paesi a vocazione agricola. Lunga la lista dei Paesi che non hanno firmato il trattato contro le mine e le tengono pronte negli arsenali: Stati Uniti, Russia, Cina, Israele, Cuba, India, Pakistan e molti Paesi arabi.

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