venerdì 8 maggio 2009
La rimozione del limite di tre embrioni  produce una smagliatura nell'impianto giuridico e clinico della legge, che rimane tuttavia sostanzialmente confermato.
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Nelle decisioni sulla procreazione assistita valgono «autonomia e responsabilità del medico» nello stabilire caso per caso il numero di embrioni da creare e impiantare, avendo come criterio di riferimento la riduzione «al minimo ipotizzabile» del «rischio per la salute della donna, ed eventualmente del feto». Eventualmente. Perché la «tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela della esigenza di procreazione». È quanto ha sancito ieri la Corte Costituzionale depositando le motivazioni della sentenza 151 con la quale il 1° aprile aveva dichiarato l’illegittimità di quella parte dell’articolo 14 della legge 40 sulla fecondazione artificiale che fissa in un massimo di tre gli embrioni che si possono produrre a ogni ciclo e che vanno impiantati contemporaneamente. Data questa premessa, la Corte ha tratto quella che definisce «logica conseguenza» di inserire una «deroga al principio generale di divieto di crioconservazione», tuttora esplicitamente previsto dallo stesso articolo 14. Dunque, d’ora in poi tocca al medico decidere di volta in volta quanti embrioni realizzare, quanti impiantarne e quanti mettere nel congelatore, a sua discrezione. Un potere che gli viene affidato dai giudici per consentirgli di evitare la «moltiplicazione dei cicli di fecondazione» e «l’aumento dei rischi di insorgenza di patologie» da iperstimolazione ovarica, ma anche per eliminare il vincolo che nella legge 40 «non riconosce al medico la possibilità di una valutazione, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, del singolo caso sottoposto al trattamento».Ora che abbiamo in mano le motivazioni di una sentenza che apre un varco nella tutela dell’embrione, sinora indiscussa, la situazione è più chiara. Se la «tutela dell’embrione non è assoluta» ma dipende dalla discrezionalità di un medico, tutto sembra diventare possibile grazie al fatto che in una legge nella quale restano vigenti numerosi divieti (selezione, congelamento, soppressione, riduzione embrionaria di gravidanze plurime, fecondazione eterologa) sono inserite possibili eccezioni. Che però – visti i molti paletti non rimossi dalla stessa Corte, che pure poteva farlo – restano limitatissime. Quanto queste eccezioni possano creare un varco nella legge è dunque tutto da dimostrare. La stessa ricerca scientifica evocata dalla sentenza mostra infatti che la prassi clinica sta prendendo altre strade più efficaci in termini di gravidanze portate a termine con successo senza «toccare» alcun embrione. Non solo: i dati sull’applicazione della legge 40 nel 2008 evidenziano che l’Italia vanta la più bassa incidenza di sindromi da iperstimolazione, proprio grazie al limite di 3 embrioni che imponeva cicli meno invasivi. Quanto alla riapertura dei congelatori, i centri per la fecondazione assistita hanno imparato a lavorare con dati sempre più positivi senza ricorrere alla crioconservazione, che è onerosa e fonte di problemi giuridici, senza contare che gli embrioni scongelati e impiantati hanno possibilità molto inferiori a quelli "freschi" di dar luogo a una gravidanza. Rimuovere il limite di tre embrioni è dunque una smagliatura in un impianto giuridico e clinico che rimane sostanzialmente inalterato, per quanto esultino i fan del ritorno al Far West procreatico precedente alla legge 40.
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